Coming out

 

L'espressione Coming out è usata per indicare la decisione di dichiarare apertamente la propria omosessualità o la propria identità di genere.

Questa espressione deriva dalla frase inglese coming out of the closet ("uscire dal ripostiglio" o "uscire dal nascondiglio", ma letteralmente "uscire dall'armadio a muro"), cioè "uscire allo scoperto". In italiano è stato tradotto come "uscir fuori" (ad esempio: "a che età sei uscito fuori?") e "venir fuori", ma le forme italiane non sono riuscite a prevalere su quella inglese, a differenza di quanto è accaduto con altre lingue come con lo spagnolo salir del armario e il francese sortir du placard. L'espressione abbreviata comunemente usata, coming out, ha un contenuto ironico, in quanto era - e in parte è ancora - l'espressione usata per indicare il "debutto in società" di una giovane adolescente, di solito al ballo delle debuttanti.

 

Ecco perchè se cercate coming out su Google, principalmente trovate Testimonianze come questa:

 

Fare coming out è "o la va o la spacca", e se fa male perdere un amico perché ti vede con occhi diversi... perdere membri della famiglia, che ti logorano giornalmente con insulti irripetibili (quelli rivolti alla tua compagna fanno ancor più male, anche se in realtà è una loro scappatoia mentale per attribuire ad altri la colpa di aver "plagiato, traviato" la loro splendida e irreprensibile figlia), quello.. beh.. quel dolore non è assolutamente prevedibile o immaginabile.


Se decidete di fare coming out, siate pronti a partire dall'Isola con la vostra saccoccia, ma sappiate che non è un reality.. E' LA REALTA'!!!
 

Ma d'altra parte, fatte le dovute differenze, considerate che per tanto tempo, essere omosessuli è stato considerato avere una malattia mentale(molti ancora lo pensano!).

A meno di non essere famosi e di fare coming out attraverso i media, è un processo graduale e mai concluso. Le ragioni del coming out possono essere politiche ma anche pratiche: quando si è ormai dichiarato la propria appartenenza ad una minoranza non si ha più lo stress di doversi nascondere e si può godere delle piccole gioie della vita a viso aperto; alcuni studi hanno provato che il grado di visibilità di una persona in un gran numero di situazioni sia fortemente correlato con una mancanza di stress e di nevrosi.Inoltre, la conclusione di questa fase porta generalmente ad una crescita interiore, soprattutto in termini di sicurezza in sé stessi.

Il coming out è un processo spesso graduale. È comune fare coming out prima con un amico o un familiare fidato, e successivamente con gli altri. Alcune persone sono "out" sul posto di lavoro, ma non con le proprie famiglie, e viceversa. Inoltre, il coming out non si fa una sola volta, ma è "necessario" farlo con ogni nuova conoscente e situazione.
Prerequisito al coming out con gli altri, è fare coming out con sé stessi. Questo è il primissimo passo nel processo di coming out: spesso richiede una ricerca interiore,fare coming out con sé stessi termina quel periodo di ambiguità e dà il via al processo di autoaccettazione.

"Non sarai mai solo con la schizofrenia" diceva Woody Allen. ...
Nora Kaufman, creatrice di Caffè dell'Arte(centro milanese di riabilitazioe per giovani con disturbo bipolare),intervistata sul Mad Pride (festival dell'Orgoglio pazzo per combattere lo stigma, l'etichetta negativa che bolla chiunque sia affetto da una malattia della psiche e lo mette ai margini della vita sociale)
così, inorridita, ha risposto:"
Un nostro associato ci ha proposto di aderire al movimento e per poco non lo cacciavo dalla mia stanza" dice Kaufman. "Anche noi combattiamo lo stigma" continua "ma per fare coming out bisogna essere molto cauti.
In Italia, oggi, un bipolare in fase maniacale rischia il licenziamento in tronco. Non basta andare in piazza per risolvere il problema, anzi c'è il pericolo di ottenere il risultato opposto e di apparire macchiette da compatire".

 Concludo quest'articolo con l'inizio di un commento di A. nel Gruppo Bipolari sul tema .

"...La mia esperienza sul dire e non dire è questa. Vivo in una città mediamente grande. Quando sono stato la prima volta da uno psichiatra, il solo fatto di aver messo piede lì dentro ha fatto nascere nel mio parentado il coro inneggiante alla malattia mentale, TARLO DI FAMIGLIA. Avevamo avuto infatti diversi casi di "pazzia" in famiglia (devo dire che adesso questi casi di non meglio identificata e "generica" follia mi incuriosiscono non poco).
Credo che per dirlo occorra tenere presente l'ambiente, la mentalità, la consapevolezza di avere di fronte qualcuno che sia disposto ad ascoltare e recepire...Ho fatto l'errore di parlare delle difficoltà che ho attraversato apersone che credevo amiche (non del mio essere bipolare perché non conoscevo il disturbo) e con tutta la tranquillità e ingenuità possibile.. mi è bastato poco per capire che non tutti reagiscono
come faremmo noi. Per noi la diversità è un valore, per gli altri qualcosa da cui difendersi.. per il senso comune tutto deve essere omogeneo, altrimenti i punti di riferimento vacillano e le paure incombono. Il silenzio. Sono stato messo alla gogna. Con una scusa allontanato definitivamente. "

                                                  

                                                                                                   20 Ottobre 2009