Psicoriabilitazione

 

Per anni la Psicoriabilitazione si è rivolta solamente a pazienti affetti da disturbi appartenenti allo Spettro Schizofrenico ma, nell’ultimo decennio, si sono aggiunti il Disturbo Borderline di Personalità, la Doppia Diagnosi, il Disturbo Ossessivo-Compulsivo ed i Disturbi dell’Umore, in particolare il DB.

Krapelin, nel 1921, affermava: “La psicosi maniaco-depressiva ha una prognosi favorevole con un completo recupero del normale funzionamento”. L’assenza del deterioramento nel DB e negli altri disturbi dell’umore ha costituito, per quasi un secolo, un assioma della psichiatria, un basilare segno differenziale, insieme al diverso decorso di malattia, tra demenza praecox e psicosi maniacodepressiva. Ad oggi, è noto invece, come il paziente bipolare abbia grandi difficoltà a  recuperare completamente il suo “normale funzionamento”. Certamente mantiene l’inserimento familiare, spesso lavora e possiede una limitata parvenza di vita sociale, ma perde il suo ruolo e la stima del suo ambiente. Ne consegue che nel DB, la Psicoriabilitazione, deve cercare di costruire una “riabilitazione giuridica”, che miri a superare lo stigma conseguente ad un Episodio Maniacale, Misto o Depressivo grave. I problemi che seguono ad un episodio affettivo dipendono dall’ostracismo sociale, che rende difficile i rapporti interpersonali nella quotidianità. L’epoca di esordio e la lunga durata della malattia bloccano in un momento basilare della vita (tarda adolescenza o prima giovinezza) la crescita esperienziale, cosicché il soggetto, una volta risolto il quadro clinico, si ritrova distaccato dagli amici, estraneo al loro background culturale ed inesperto. Il disturbo gli ha impedito di percorrere le tappe salienti della propria età, come rapportarsi con i coetanei, prendere confidenza con l’altro sesso, avere l’iniziativa e conseguire l’autonomia. La sua inesperienza lo espone a frustrazioni che diventano fonte di stress e facilitano le ricadute. Ne consegue una chiusura totale dall’ambiente ed una progressiva dipendenza dalle strutture assistenziali. Da questo deterioramento psichico e sociale scaturisce la perdita o la non  acquisizione di una occupazione retribuita che porta a difficoltà di carattere economico ed accentua le problematiche sociali. Nei quadri ad esordio tardivo il paziente si trova, nell’arco di pochi mesi, ad essere considerato inaffidabile con un conseguente danno alla sua carriera lavorativa. In famiglia, nonostante mantenga i legami affettivi, si riduce il suo empowerment e la sua autostima.

In passato, la lunga durata degli episodi di malattia teneva l’individuo isolato dalla società per anni. Egli, al suo eventuale ritorno, si trovava ostacolato dallo stigma.

Attualmente la durata la durata dell’episodio si è ridotta, fino a diventare simile a quella di gravi patologie somatiche ma, di contro, è aumentato il numero degli episodi. Inoltre, alla scomparsa dei sintomi non corrisponde un recupero del funzionamento psicosociale, tanto che solo il 40% dei pazienti dimessi dopo un ricovero per un episodio affettivo, è in grado di recuperare il livello di rendimento precedente. Prestare attenzione solo al sintomo, tralasciando il grave impatto che la malattia ha sul funzionamento ’insieme, significa rassegnarsi ad un risultato imperfetto, che espone il paziente a stress quotidiani evitabili che facilitano l’insorgenza dei nuovi episodi.
È certa l’esistenza di fattori non biologici correlati alla malattia che ne peggiorano il decorso e sui quali i farmaci sono inattivi.

Molte ricadute sono dovute alla scarsa adesione al trattamento di profilassi. La sensazione del paziente di essere controllato e “frenato” dalla terapia e dai curanti è determinante nel fallimento della compliance farmacologica.

Durante la fase eutimica il 90% dei pazienti bipolari ha pensato almeno una volta di interrompere le cure psicofarmacologiche, il 50% le ha sospese autonomamente almeno una volta ed il 30% più volte e solo un quarto dei soggetti che rispondono al litio continua ad assumere il farmaco dopo 5 anni.

La spada di Damocle di una ennesima ricaduta e la conseguente inutilità di organizzare progetti a lungo termine, compromette la stabilità emotiva ed abbatte l’autostima della persona, conducendola ad un rassegnato appiattimento di attività ed aspettative.

Altro fattore da considerare nel supporto psicosociale del paziente bipolare è la persistenza dei sintomi residui, presenti nel 70% dei casi. Benassi attribuisce alla sintomatologia residua un effetto kindling, che rappresenta la peggior predittrice di decorso ed incide negativamente sulla qualità della vita. Per ovviare a questo è stata proposta l’associazione sequenziale tra farmaci nella fase acuta e psicoterapia di supporto e cognitivo-comportamentale nelle fasi intervallari.

Nel disturbo bipolare il rapporto medico-paziente riveste un’importanza sicuramente maggiore rispetto alle altre specialità mediche, nelle quali questo rapporto è mediato principalmente dalle indagini strumentali. Lo psichiatra deve seguire una pratica eclettica e multimodale che tenga conto, oltre che della malattia, anche della personalità del soggetto e del contesto culturale in cui vive, al fine di ottimizzare il progetto terapeutico.

 

TECNICHE DI RIABILITAZIONE NEL DB

La classica Psicoriabilitazione, che aveva come obiettivo l’intrattenimento, la socializzazione e la cura del sé, appare ad oggi inutile e fuori luogo e può avere valore solo nei casi più gravi di malattia. Nella pratica clinica quotidiana è più adeguato parlare di un allargato concetto dell’assistenza, in cui si associ l’approccio biologico a quello psicosociale. Ciò permette sia di controllare le fasi acute e ridurre il numero degli episodi di malattia, che di aumentare l’insight, migliorare la compliance a   trattamento, combattere l’esclusione sociale ed il deterioramento del ruolo .Le tecniche più diffuse, legate all’approccio psicosociale, quali l’intervento psicoeducazionale e la terapia cognitivo-comportamentale (TCC) condividono una serie di principi comuni.
Entrambe fanno riferimento al modello stress-vulnerabilità; non trascurano gli aspetti biologici della malattia, per cui puntano al miglioramento della compliance farmacologica; rinforzano i meccanismi di
coping già posseduti; rispettano le differenze individuali degli utenti e dei familiari che vengono coinvolti come “alleati” nel processo riabilitativo.
Fin dalla costituzione delle prime Cliniche del Litio , i medici, consapevoli dei limiti del solo intervento farmacologico nella cura e nella profilassi del DB, si avvalevano di un intervento psicoanalitico e/o psicoeducazionale. Mentre il primo è stato quasi abbandonato, maggiore diffusione ha avuto l’approccio psicoeducazionale per la sua semplicità e riproducibilità. Quest’ultimo, derivato dall’esperienza di Leff e Falloon , è finalizzato a migliorare la comunicazione e a fornire pragmatiche informazioni sulla malattia e sui farmaci, in modo da rendere i familiari, non più passivi o nocivi spettatori, ma validi collaboratori. Le specifiche componenti dell’intervento sono l'informazione sui sintomi, sul decorso e sul trattamento della malattia e l’insegnamento di strategie di comunicazione per il miglioramento delle competenze della famiglia nella gestione dello stress generato dalla malattia. Attraverso incontri settimanali si insegna a convivere con la malattia e ad accettarla, si creano motivazioni stimolanti l’autostima, si rinforza la compliance farmacologia e si cerca di incrementare il funzionamento sociale e lavorativo. Intervenire su una o più famiglie dà luogo ad esiti differenti. Sulla singola famiglia l’assistenza è più specifica ed affronta i problemi inerenti la gestione del malato, del suo comportamento e della terapia, ma spesso coinvolge solo il
caregiver che vede così sottolineata la sua solitudine nel compito che si è imposto. Allargando l’intervento a più gruppi di famiglie si facilita la nascita dello spirito di squadra, di emulazione e di condivisione che costituiscono la base delle psicoterapie di gruppo, ma si perde il vantaggio di lavorare su un contesto esclusivo.

 

Un obiettivo basilare della Psicoriabilitazione è il superamento dello stigma che la nostra società continua ad imprimere indelebilmente ai pazienti psichiatrici. Le malattie mentali sono ancora le uniche che piuttosto che suscitare comprensione, partecipazione e solidarietà creano diffidenza e timore. Un episodio depressivo di lunga durata e maggiormente un episodio maniacale, comportano per la persona la perdita della stima dei colleghi, un’interruzione della carriera lavorativa e la formulazione di un giudizio di inaffidabilità da parte dei familiari.
Cessato l’episodio, la maggiore difficoltà a rientrare nella quotidianità, è la reazione della società nei confronti dell’individuo. Si tratta di pregiudizi basati sull’esperienza di secoli e difficilmente modificabili, in quanto ormai radicati nel modo di pensare della popolazione. A questo proposito si stanno dimostrando efficaci i gruppi di Auto-Mutuo-Aiuto (AMA)
L’autonomia dei GAMA si è concretizzata in molte realtà con il distacco dai servizi psichiatrici territoriali e con l’organizzazione autonoma dei corsi per “facilitatori”, ex pazienti psichiatrici che hanno il compito di aiutare i nuovi utenti ad uscire dal ghetto della emarginazione e della malattia.
Esistono GAMA monodiagnosi, orientati prevalentemente verso la cura e la risoluzione dei problemi contingenti, e GAMA aperti a tutti, in cui prevale l’aspetto riabilitativo e sociale.
Il paziente bipolare trova aiuto nei GAMA monodiagnosi, grazie all’acquisizione di una maggiore coscienza di malattia e di una migliore compliance, con la conseguente minore probabilità di ricadute. La mancanza di un supporto sociale è ritenuta la più gravosa predittrice di prognosi infausta per ogni malattia mentale e questo vale particolarmente nel DB, in cui le ricadute sono correlate alla scarsa aderenza al trattamento, allo stress causato dagli eventi vitali ed alla vita spericolata” condotta spesso da questa tipologia di pazienti. Per far sì che il paziente segua le regole è necessaria la collaborazione di tutti gli attori che lo circondano, con un campo d’azione esteso alla famiglia ed al contesto sociale e lavorativo di appartenenza.Altro cardine su cui ruota è l’informazione del paziente sulla malattia e sulle terapie psicofarmacologiche assunte dato che, persone adeguatamente informate, possono gestire al meglio una patologia cronica con un decorso così singolare.
E' importante puntare a migliorare la compliance farmacologica, prevenire le recidive di malattia e mantenere e migliorare il ruolo sociale della persona.

(A.Lenzi; F. Simonetti ;O. Damiani)-Errepiesse– Anno I I – n° 2 Agosto 2008

 

La psicoeducazione nel Disturbo Bipolare

Qui trovate un  lavoro in cui vengono presentate le esperienze ed i risultati di tre gruppi psicoeducazionali effettuati presso il CSM di Colleferro.

 

Psicoriabilitazione del Disturbo Bipolare- Dr. G. Crisafulli
Trovo queste slide della relazione tenuta dal Dr. Crisafulli abbastanza esplicative di quello che è il percorso da intraprendere nel Disturbo Bipolare
crisafulli[1] riabilitazione nel db.pdf
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Nel link riportato (basta cliccare sulla parolina link) potete trovare un manuale che viene distribuito nel Lazio in forma cartacea.

 

 

 Un'intervista alla Dott.ssa  Rosanna Perone  sulla Psicoeducazione nel Disturbo Bipolare

 

 

 

14 Marzo 2014