Confusione con altre condizioni psichiatriche e coesistenza

 

Ai momenti di pazzia si alternavano lunghi momenti di lucidità che mi erano divenuti insopportabili. Durante questi attacchi d'incoscienza assoluta bevevo e solo dio sa quanto e con quale frequenza. Ovviamente i miei amici imputavano la pazzia al bere e non il bere alla pazzia.

 

EDGAR ALLAN POE

 

Ci sono altre condizioni psichiatriche che possono essere
confuse o coesistere con il disturbo bipolare?
Il disturbo bipolare può essere confuso con altre condizioni, inclusi i disturbi d'ansia e i disturbi psicotici come il disturbo schizofrenico e schizoaffettivo.
Questo è perché ansia e sintomi psicotici possono aversi a volte anche nel disturbo bipolare. I bipolari possono spesso essere affetti contemporaneamente da altri disturbi psichiatrici. I più comuni sono l'abuso di sostanze(30-50%), il disturbo ossessivo - compulsivo e disturbo di attacchi di panico.
Se si hanno preoccupazioni riguardo alla correttezza della diagnosi del disturbo, ci si deve sentire liberi di chiedere al proprio psichiatra di spiegare come si è arrivati alla diagnosi di disturbo bipolare.

 Comorbidità

Il concetto di comorbidità nasce nell’ambito della medicina generale nel 1970 ad opera di Feisten e coll ed indica in quel contesto "ogni distinta entità clinica aggiunta che è stata o può comparire durante il decorso clinico di un paziente che ha la malattia indice sotto osservazione". In epidemiologia clinica quindi il concetto diventa fondamentale per indicare due patologie distinte per lo meno da differenti eziopatogenesi e diventa importante per definire la scelta terapeutica in base alla presenza di vari fattori, il giudizio prognostico, una corretta valutazione dei risultati di follow up, un eventuale approfondimento delle scelte etiopatogenetiche perché il frequente rilievo di correlazioni tra patologie ritenute distinte può far nascere ipotesi sui sottostanti meccanismi che le legano. Il termine nasce quindi in ambito medico e tuttavia trova la sua maggiore popolarità in ambito psichiatrico. Altre ridefinizioni si sono succedute in questo ambito: per Klerman (1990) la comorbidità in senso stretto significa che due o più disturbi sono presenti nello stesso tempo, mentre in un senso più esteso si può parlare di comorbidità quando due o più disturbi si presentano nel corso della vita. Per Strakowski (1995) si intende "la presenza di una sindrome psichiatrica, antecedente o compresente in aggiunta alla diagnosi principale" inserendo una gerarchia tra le diagnosi. Per Cloninger la comorbidità indica "la probabilità che un soggetto con un disturbo indice abbia anche un altro disturbo" introducendo il concetto di rischio relativo. Nel corso del tempo è diventato più chiara la necessità di parlare di comorbidità di fronte alla "co occurrence" di entità cliniche e non di sintomi come alcuni autori avevano iniziato ad indicare, e la necessità di definire il tempo di osservazione, definito, limitato e di distinguerlo da un tempo più prolungato, "lifetime", se ritenuto importante nell’osservazione. (cf www.psychiatryonline.it/ital/dsmdalle.htm)

 

 Comorbilità e Disturbi dell'Umore

Edwards et al. (1) in un lavoro per l’Organizzazione Mondiale della Sanità, hanno sottolineato logicamente che tra disturbi mentali e uso di sostanze possono intercorrere tre diversi tipi d’associazione:

  •  i disturbi mentali causano l’assunzione di sostanze;
  •  i disturbi mentali conseguono all’uso di sostanze;
  • tra disturbi mentali ed uso di sostanze esiste solo un’associazione casuale.
  1. L’assunto che una sostanza induce “tout court” un quadro psicopatologico, va sempre adeguatamente e criticamente verificato. Nell’associazione clinica ed epidemiologica tra uso di sostanze e quadro clinico psicopatologico, infatti, possono sussistere diversi rapporti eziopatogenetici:  una sostanza può indurre una sindrome psicopatologica ex novo; 
  2.  una sostanza può evidenziare un disturbo psicopatologico latente;
  3.  una sostanza può causare la ricaduta in un preesistente disturbo mentale;
  4. il quadro psicopatologico può indurre all’assunzione più o meno frequente della sostanza;
  5. la relazione tra quadro psicopatologico ed abuso di sostanze è spurio, cioè un quadro psicopatologico precede l’uso di sostanze, ma, talora, subisce per effetto delle sostanze un’evidente patomorfosi;
  6. non vi è relazione tra quadro psichiatrico ed assunzione di sostanze(2-3-4).

 

 Alcuni requisiti logici devono essere soddisfatti, inoltre, per passare dal livello epidemiologico d’associazione al livello interpretativo o causale:

  • forza dell’associazione:
  • il rischio relativo deve essere sensibilmente elevato;
  • specificità dell’associazione: il rischio relativo deve riguardare quadri clinici ben definiti e non equivoci;
  • temporalità dell’associazione: il fattore causa deve precedere il fattore effetto;
  • stabilità dell’associazione: l’associazione deve essere verificata da osservatori diversi in circostanze, luoghi ed epoche differenti;
  • plausibilità e coerenza: l’insieme delle osservazioni non deve essere incoerente e contraddittorio;
  • evidenza sperimentale: qualora un disegno sperimentale in quest’ambito sia eticamente accettabile;
  • gradiente biologico dell’associazione: identificazione di una relazione dose-risposta, qualora esistente.

Le definizioni nosografiche più recenti (DSM IV) sostengono che si possa parlare di comorbilità, in un soggetto, quando siano soddisfatti i criteri diagnostici per più di un disturbo psichiatrico, contemporaneamente. Lo studio epidemiologico Epidemiological Catchment Area (ECA) condotto, nella prima metà degli anni’80, su 20.291 soggetti, appartenenti alla popolazione generale, ha fornito alcuni termini quantitativi di riferimento.(5) In particolare, tra tutti i soggetti che avevano avuto nella loro vita una diagnosi di disturbo mentale, ben il 14.7 % aveva in anamnesi un disturbo da abuso-dipendenza da sostanze, mentre il 28.9 % riferiva un disturbo da abuso-dipendenza da alcool. In altri termini, per chi ha una storia d’abuso di sostanze il rischio di presentare disturbi mentali, è di circa quattro volte superiore a quello della popolazione generale. All’interno dei sottogruppi diagnostici sono stati evidenziati tassi di comorbilità con disturbi da abuso di sostanze nel 27.5 % per la schizofrenia, nel 19.4 % per i disturbi affettivi, e nel 42 % per i disturbi di personalità, soprattutto antisociale. Lo studio ECA soffre, purtroppo, d’alcuni limiti metodologici, in conseguenza dell’utilizzo d’interviste strutturate che raccolgono informazioni retrospettive. Alcuni "bias" legati all’affidabilità mnesica, circa la diagnosi psichiatrica e circa l’uso dichiarato di sostanze, potrebbero aver agito sensibilmente sui dati complessivi raccolti. I dati, inoltre, non sono stati trattati per evidenziare se l’uso di sostanze precedeva o seguiva cronologicamente le diagnosi psichiatriche. Non sempre esistono, inoltre, dati disponibili circa il tipo specifico di sostanza d'abuso. (7-8) Purtroppo, gli studi in materia risultano condotti, quasi tutti, in modo retrospettivo e con metodologie non scevre da effetti confondenti legati a diversi "bias" di rilevazione dei dati, se non alla selezione stessa del campione esaminato.

Disturbi dell’umore

Disturbi dell’umore, con episodi depressivi maggiori, secondo i criteri del DSM IV, si ritrovano in circa un terzo della popolazione di tossicodipendenti da eroina. La prevalenza lifetime risulta compresa tra il 60% ed il 90%, che si riduce al 30.48% per le condizioni di gravità media e/o severa. In circa il 90% degli eroinomani con gesti suicidari, spesso, è presente una storia di disturbi depressivi. Nel St. Diego Study (SDS), il rischio di suicidio nei tossicodipendenti è risultato maggiore in presenza di disturbi dell’umore, rappresentati, nel 29 % dei casi da quadri di depressione atipica. In questo studio, effettuato negli anni ‘80 e relativo ad un campione di 283 suicidi consecutivi, avvenuti nella Contea di S. Diego, dal 1981 al 1983, è stata dimostrata una prevalenza di problemi correlati all’abuso di alcool e sostanze nel 58% dei casi. Questa percentuale risulta nettamente superiore a quella registrata nella popolazione generale che varia dal 11% al 18%. La frequenza di suicidi nella popolazione tossicodipendente è compresa tra i 30 casi e gli 82 casi su 100.000 ed è, quindi, circa undici volte superiore rispetto alla popolazione generale. La prevalenza lifetime di suicidi tra i tossicodipendenti risulta oscillare tra il 7% ed il 25%. (6) Negli eroino-dipendenti il suicidio viene attuato in età usualmente precedente i 40 anni di vita, e, nel 50% dei casi, prima dei ventotto anni, quindi, in età più giovanile rispetto alla popolazione dei suicidi alcolisti o rispetto alla popolazione generale. Nel SDS, inoltre, circa il 67% delle persone suicidatesi prima dei 30 anni sono tossicodipendenti, mentre solo nel 46% dei suicidi avvenuti dopo i trenta anni e in circa il 14% di quelli successivi ai 40 anni sono stati evidenziati problemi correlati alla tossicodipendenza. La poli-tossicodipendenza, cioè l’uso contemporaneo di diverse sostanze, in particolare l’associazione tra farmaci sedativo-ipnotici ed alcool, costituisce un ulteriore fattore di rischio suicidario tra i tossicodipendenti, determinando la disinibizione di comportamenti autolesivi. Lo studio SDS conferma, per esempio, che il numero medio di sostanze utilizzate dai tossicodipendenti suicidi è stato di 3,6. Circa l’84% di tali pazienti aveva utilizzato alcolici, farmaci ed eroina. Solo un 8% di questo campione poteva essere considerato un alcolista ‘puro’ e circa un 8% un ‘puro’ tossicodipendente. (7)

 

I disturbi maniacali ed ipo-manicali sono stati evidenziati, nei diversi studi, con frequenze molto variabili, senza raggiungere univocità di opinioni. Il disturbo bipolare, al contrario, appare associato ad un abuso di sostanze tra il 21% ed il 58% dei casi, con una più elevata frequenza di ricoveri, episodi disforici, un più precoce esordio del disturbo dell’umore ed una più alta frequenza di disturbi mentali di Asse I. Il disturbo ossessivo-compulsivo tra i tossicodipendenti raggiunge percentuali superiori all’11%, contro un’incidenza di circa il 2.5% della popolazione generale. (8-6-9) Un disturbo dell’umore di tipo depressivo rappresenta la diagnosi psichiatrica più frequente, tanto nei soggetti con AIDS ricoverati, quanto nei soggetti con infezione da HIV asintomatici. Valori tra il 4% ed il 32% sono stati riscontrati anche nei soggetti a rischio di infezione, ma ancora siero-negativi. Tali dati appaiono largamente sovrapponibili a quelli registrati in soggetti affetti da patologie croniche e potenzialmente mortali, come quelle cancerose. La diagnosi di AIDS o di infezione di HIV non necessariamente deve essere considerata, di per sé, depressogena, sebbene lo stato di siero-positività possa associarsi a periodi prolungati di “helplessness” e di “hopelessness” con mancanza di speranza, senso di abbandono, tristezza e rabbia. In realtà, il disturbo depressivo può precedere cronologicamente l’infezione, la quale sarebbe, perciò, slatentizzante rispetto al disturbo psichico. Nella personalità premorbosa di tali soggetti spesso vengono registrati altri fattori predisponenti quali: precedenti episodi depressivi; condotte suicidarie; altri disturbi psichiatrici; disturbi di personalità; perdita di ogni supporto psico-sociale. (10-11)

 

Riferimenti

1. EDWARDS G., ARIF A., HODGSON R.: Nomenclature and classification of drug and alcohol- related problems: a WHO memorandum. Bullettin of the World Health Organization, 59, 2, 225-242, 1981.

2. THORNICROFT G.: Cannabis and psychosis. Is there epidemiological evidence for an association? British Journal of Psychiatry, 157, 25-33, 1990.

3.POZZI G, BACICALUPI M., SERRETTI A., TEMPESTA E.: Prevalenza dei disturbi mentali fra gli utenti dei servizi pubblici per le tossicodipendenze in Italia: uno studio multicentrico. Bollettino per le Farmacodipendenze e l’ Alcolismo,1993, XVI, 3-4 .

4. ROUNSAVILLE BJ, KOSTEN TR, WEISSMANN MM, KlLEBER HD: Prognostic significance of psycophathology in treated opiate addicts. A 2.5-year follow-up study, Archives of General Psychiatry,1986, 43, 739-749.

5. REGIER D.A., FARMER M.E., RAE B.S.: Comorbidity of mental disorders with alcohol and other drug abuse: results from the Epidemiologic Catchment Area (ECA) Study. Journal of the American Medical Association, 264, 2511-2518, 1990.

6. WHISH E.D.: United States drug policy in the 1990's: insights from new data from arrestees. International Journal of Addictions, 25, 377-382, 1990.

7. REGIER D.A., FARMER M.E., RAE B.S.: Comorbidity of mental disorders with alcohol and other drug abuse: results from the Epidemiologic Catchment Area (ECA) Study. Journal of the American Medical Association, 264, 2511-2518, 1990.

8. KESSLER R.C., McGONAGLE K.A., SHANYANG Z.: Lifetime and 12-mounth prevalence of DSM-III-R psychiatric disorders in the United States. Results from the National Comorbidity Survey. Archives of General Psychiatry, 51, 1, 8-19, 1994.

9. WARNER L.A., KESSLER R.C., HUGES M.: Prevalence and correlates of drug use and dependence in the United States. Results from the National Comorbidity Survey. Archives of General Psychiatry, 52, 3, 219-229, 1995. 

10. REGIER D.A., FARMER M.E., RAE B.S.: Comorbidity of mental disorders with alcohol and other drug abuse: results from the Epidemiologic Catchment Area (ECA) Study. Journal of the American Medical Association, 264, 2511-2518, 1990.

11. ROTH M., GURNEY C., GARSIDE R.F., KERR T.A.: Studies in the classification of affective disorders: the relationship between anxiety states and depressive illness. British Journal of Psychiatry, 121, 147-161, 1972.

 

Fonte http://www.rivistadipsichiatria.it/allegati/00189_2001_01/fulltext/1-13.pdf

Disturbo Bipolare e Comorbidità

 

Dal “singolo disturbo”, alla “coesistenza di singoli disturbi”, al “doppio disturbo”: un percorso da comprendere e decodificare

 

Il disturbo bipolare è tra i disturbi psichiatrici quello che si presenta con una maggiore e più precoce comorbidità con malattie mediche e fattori di rischio per molte malattie organiche ( frequentissime le doppie diagnosi )

Le definizioni nosografiche più recenti (DSM IV) sostengono che si possa parlare di comorbilità, in un soggetto, quando siano soddisfatti i criteri diagnostici per più di un disturbo psichiatrico, contemporaneamente.

Il disturbo bipolare può essere confuso con altre condizioni, inclusi i disturbi d'ansia e i disturbi psicotici come il disturbo schizofrenico e schizoaffettivo. Questo è perché ansia e sintomi psicotici possono aversi a volte anche nel disturbo bipolare. I bipolari possono spesso essere affetti contemporaneamente da altri disturbi psichiatrici. I più comuni sono l'abuso di sostanze(30-50%), il disturbo ossessivo - compulsivo e disturbo di attacchi di panico. Se si hanno preoccupazioni riguardo alla correttezza della diagnosi del disturbo, ci si deve sentire liberi di chiedere al proprio psichiatra di spiegare come si è arrivati alla diagnosi di disturbo bipolare.

Il disturbo bipolare è tra i disturbi psichiatrici quello che si presenta con:
- Una maggiore e più precoce comorbidità con malattie mediche e fattori di rischio per molte malattie organiche ( frequentissime le doppie diagnosi )
- Una maggiore mortalità per le condizioni mediche associate:
- malattie cardiovascolari - ipertensione
- patologie respiratorie
- obesità
- diabete
- sindrome metabolica( vi è una recente ipotesi di correlazione tra queste due condizioni di « vulnerabilità genetica » )
- Fattori di rischio:
- abuso di caffè
- tabagismo
- alcolismo
- abuso di sostanze ( cocaina )
- promiscuità sessuale
« Il paziente con disturbo bipolare cerca con grande passione tutte le cose che fanno male a lui e soprattutto alla sua malattia pur avendo un sistema nervoso molto reattivo agli effetti delle sostanze » ( A. KouKopoulos )

Fonti

Comorbidità fra disturbi mentali e dipendenze patologiche: il problema della cosiddetta “Doppia Diagnosi” -Progetto Double Spiral (ASL BA3,Consorzio Ependù,Università di Bari:Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche;Dipartimento di Scienze Pedagogiche e Didattiche)

 

Pini S, Dell'Osso L, Mastrocinque C, Marcacci G, Papasogli A, Vignoli S, Pallanti S, Cassano GB, Axis I Comorbidity in Bipolar Disorder with Psychotic Features. Br J Psychiatry 1999; 175: 467-471.

Disturbo Bipolare: Eccesso di diagnosi

 

Un recente studio ha evidenziato che un gruppo di pazienti che avevano ricevuto diagnosi di disturbo bipolare, quando successivamente sottoposti a uno strumento diagnostico strutturato, l'intervista SCID, meno della metà di loro si è vista confermare tale diagnosi.

 

La SCID (Structured Clinical Interview for DSM-IV) consiste in un intervista strutturata, specificamente sviluppata per individuare i quadri clinici descritti dal manuale DSM-IV ma che non sempre è usata dai clinici in fase diagnostica.

I pazienti inizialmente diagnosticati come bipolari si sono rivelati più esattamente descritti da altri quadri clinici, come il disturbo borderline o un disturbo del controllo degli impulsi.

 

La conclusione di M. Zimmerman e colleghi, autori dello studio, apre un ampio spazio di riflessione: la sovrastima del numero delle diagnosi di disturbo bipolare da parte del medico (psichiatra) potrebbe essere dovuta alla miglior risposta che questo disturbo ha al trattamento con farmaci, rispetto al disturbo borderline di personalità, che ha una risposta peggiore.

 

E dato che continuano ad aumentare le prove che alcune forme di psicoterapia sono più indicate nel disturbo borderline, l'eccesso di diagnosi di disturbo bipolare in pazienti con disturbo borderline può risultare nella mancata applicazione delle forme più appropriate di trattamento.

 

 

Fonte Sito  Dr G.Santonocito

Bibliografia
M. Zimmerman, C. Ruggero, I. Chelminski, D. Young. 2009. Lifespan. If Bipolar Disorder Is Over-diagnosed, What Are The Actual Diagnoses?

 

                                                                                              

                                                                                                  18 Novembre 2009