Acceptance and Commitment Therapy (ACT)

Acceptance and Commitment Therapy (ACT)

L’Acceptance and Commitment Therapy, in italiano "Terapia di accettazione e di impegno nell’azione” è una forma di psicoterapia di recente diffusione che fa parte delle psicoterapie cognitivo-comportamentali mindfulness-based, più note come approcci "di terza onda” o "terza generazione”.

L’acronimo "ACT” si legge come una parola e non come singole lettere distinte e richiama opportunamente il verbo inglese to act (agire).

L’ACT è stata sviluppata da Steve Hayes e i suoi collaboratori nel 1986 e dapprima illustrata in due articoli scientifici (Hayes & Brownstein, 1986; Hayes & Wilson, 1994) e poi, nel 1999, in un libro dal titolo Acceptance and Commitment Therapy: An experiential approach to behavior change edito da Guilford Press.

Da allora è stata oggetto di numerosi studi di perfezionamento e validazione e rappresenta oggi una delle psicoterapie con le maggiori prove di efficacia verificate sperimentalmente; è quindi una psicoterapia cosiddetta evidence-based (basata sull’evidenza).

 

L’obiettivo dell’ACT, contrariamente a tutte le altre psicoterapie, non è la riduzione dei sintomi, ma la modificazione profonda della relazione che abbiamo con i nostri pensieri disfunzionali e le nostre emozioni negative. Questo si traduce in una riduzione della sintomatologia, ma come conseguenza di tale cambiamento di prospettiva e non come obiettivo primario.

 

Alla base dell'ACT vi è il presupposto che la sofferenza psicologica sia connaturata all’esperienza umana. Secondo l’ACT alcuni processi psicologici sono, per loro stessa natura, potenzialmente distruttivi e portatori di sofferenza. L’ACT postula, inoltre, che la radice di questa sofferenza sia il linguaggio. Questo assunto si fonda su una più ampia teoria di base del linguaggio e della cognizione umana, la Relational Frame Theory (RFT; Hayes, Barnes-Holmes, & Roche, 2001), alla quale l’ACT si appoggia quale substrato teorico e sperimentale.

Ma in che senso il linguaggio è fonte di sofferenza?

 

 

Identificarsi e distanziarsi dai propri pensieri: la fusione e la defusione cognitiva

 

Secondo la RFT tutte le attività cognitive umane sono qualitativamente linguistiche. Per processi linguistici non si intendono, infatti, soltanto il parlare o l’ascoltare o lo scrivere, ma anche il pensare, l’immaginare, il sognare ad occhi aperti, il visualizzare il futuro, il pianificare e così via. Secondo questa concezione tutto ciò che è mentale è linguistico.

I pensieri, le immagini, le anticipazioni, i giudizi, le valutazioni vanno a costituire una narrazione privata senza fine, un dialogo interno che le persone hanno incessantemente con sè stesse. Quando questo dialogo interno è connotato negativamente o è troppo rigido determina problematiche di tipo psicologico.

Ad esempio, il linguaggio può diventare fonte di sofferenza psichica quando "etichetta” rigidamente sé e gli altri, quando si associa a esperienze passate e fa rivivere ricordi dolorosi, quando ci spaventa prefigurandoci un futuro infausto, quando lo usiamo per condannare, confrontare, giudicare noi stessi e gli altri.

Secondo l’ACT le persone sono influenzate profondamente da questo dialogo interno e non sono del tutto consapevoli di tale condizionamento, in altre parole sono "fuse” cognitivamente con la propria narrazione, sono identificate con i propri pensieri.

Ad esempio, se un paziente con fobia sociale dice a se stesso "Sono un imbranato” si etichetta linguisticamente, ma assegna anche a quella affermazione lo status di "fatto”. Il risultato è che quel paziente vivrà cercando di combattere contro il presunto fatto di essere imbranato, mentre in verità si trattava soltanto della sua narrazione. Se avesse detto "Sono solo un po’ timido” il suo destino psicologico sarebbe stato sicuramente diverso.

Diventare consapevoli di questa fusione tra sé e il linguaggio rappresenta, quindi, il primo passo per aumentare la propria flessibilità psicologica.

 

Il processo con cui l’ACT promuove questa consapevolezza prende il nome appunto di "defusione cognitiva”. Attraverso la defusione cognitiva le persone diventano capaci di fare un passo indietro e osservare la propria narrazione per quello che è.

Si arriva così a riconoscere che i pensieri non sono altro che "eventi privati” transitori, un flusso di parole, suoni e immagini continuamente mutevoli che non rappresentano pertanto alcuna realtà.

 

Le tecniche per promuovere la defusione cognitiva sono moltissime: osservare i pensieri con distacco, immaginare le parole scritte su uno schermo davanti a sé, ripeterle più volte, declamarle ad alta voce fino a che non diventano un suono senza significato o cantarle come una filastrocca.Si noti come in nessun caso questi pensieri vengono messi in discussione o confutati, contrariamente alla terapia cognitivo-comportamentale standard. Sarà compito del terapeuta scegliere l’approccio più indicato per il paziente.

 

 

L’evitamento esperienziale e l’accettazione dell’esperienza

 

Un altro principio cardine dell’ACT è quello dell’evitamento esperienziale.

Per evitamento esperienziale intendiamo la non disponibilità da parte della persona di rimanere in contatto con particolari esperienze personali, come sensazioni fisiche, emozioni, pensieri, ricordi…. Questa non disponibilità si traduce in una messa in atto di comportamenti specifici per modificare l’impatto di questi eventi e i contesti che li provocano.

Questo tipo di atteggiamento, oltre a essere molto faticoso, costituisce un problema e spesso peggiora la situazione, come nel caso dell’evitamento agorafobico.

 

Secondo l’ACT, così come secondo la terapia cognitivo-comportamentale, più lottiamo per cercare di respingere la tristezza o una qualsiasi emozione negativa, evitandola, più questa aumenta, amplificando così la nostra sofferenza. Il tentativo di controllo degli eventi interni, e a maggior ragione dei cosiddetti "sintomi”, non fa altro che intensificarne la portata.

 

Esempi di questo principio sono numerosi. Si pensi a tutte le forme di dipendenza da sostanze (alcool, eroina, cocaina, ecc..). All’origine di queste dipendenze c’è molto spesso il tentativo di non percepire, di non pensare ad alcuni vissuti interiori spiacevoli: la noia, la solitudine, l’ansia, la depressione.Nel breve termine il ricorso alla sostanza sembra ottenere lo scopo di sollevarci da questi vissuti negativi, ma a lungo termine la dipendenza diventa un problema ulteriore da risolvere che ci fa soffrire molto più di prima. Nel disturbo ossessivo compulsivo i pazienti elaborano rituali complessi nel vano tentativo di tenere a bada l’ansia provocata dalle loro ossessioni (pensieri e immagini), si condizionano la vita pur di non sperimentare quell’ansia. Anche il disturbo di panico, come è noto, non è che una paura di avere paura.

 

In altre parole, secondo l’ACT, la psicopatologia è spesso proprio il risultato di un tentativo di evitare l’esperienza di sensazioni ed emozioni squisitamente umane e spesso inevitabili come il dolore, l’ansia, la tristezza.

L’ACT propone di contrastare questo evitamento con l’accettazione dell’esperienza, l’accoglimento non giudicante di ciò che si vive interiormente, senza l’assillo del controllo né della spiegazione.

E’ qui che l’ACT diventa chiaramente una psicoterapia mindfulness based, perché tramite la pratica della mindfulness aiuta i pazienti a prendere consapevolezza dell’esperienza interiore nel qui e ora (nel momento presente) senza valutazioni o giudizi, ma con apertura e recettività, lasciando che i propri pensieri (le proprie narrazioni) vadano e vengano. Osservando i propri eventi interiori in questo modo anche i pensieri più dolorosi e le emozioni o i ricordi più negativi diventano meno minacciosi, e riducono il loro impatto e la loro influenza sulla nostra vita.

 

 

I valori e l’impegno

 

Un altro aspetto importante dell’ACT è la rilevanza che essa dà ai valori personali. Secondo l’ACT le energie e il tempo prima impiegati a cercare di lottare contro le proprie esperienze interiori dovrebbero essere investiti in azioni concrete, in un impegno fattivo, guidato dai propri valori, per rendere migliore la propria vita.

L’ACT aiuta, quindi, le persone a chiarire a se stesse cos’è davvero importante per loro, che persone vogliono essere, cosa ha veramente significato e valore, e cosa vorrebbero realizzare nella vita.

A quel punto l’ACT aiuta a fissare gli obiettivi e ad agire con perseveranza e impegno per raggiungerli e ottenendo così una vita più ricca, piena e significativa.

 

 

L’ ACT può quindi essere sintetizzata come segue:

 

Accept your reactions and be present (Accetta le tue esperienze interiori e sii presente a te stesso)

Choose a valued direction (Scegli una direzione di valore)

Take action (Agisci)

 

 

E’ efficace l’ACT?

 

L’ACT è stata utilizzata con individui, coppie e gruppi, sia come terapia a breve termine, che a lungo termine e per un ampio range di disturbi clinici. L’efficacia è stata dimostrata per i seguenti disturbi: depressione, disturbo ossessivo compulsivo, stress lavoro-correlato, dolore cronico, stress da cancro terminale, ansia, disturbo post traumatico da stress, anoressia, abuso di sostanze e schizofrenia.

 

 

Per saperne di più

ACBS Association for Contextual Behavioral Science 

Act Italia

Harris R. (2006) Embracing Your Demons: an Overview of Acceptance and Commitment Therapy Psychoterapy in Australia VOL 12 NO 4

Hayes, S. C., Brownstein, A. J. (1986). Mentalism, behavior-behavior relations and a behavior analytic view of the purposes of science. The Behavior Analyst, 1, 175-190.

Hayes, S. C., Wilson, K. G. (1994). Acceptance and commitment therapy: Alte- ring the verbal support for experiential avoidance. The Behavior Analyst, 17 (2), 289-303.

Hayes, S. C., Strosahl, K. D., Wilson, K. G. (1999). Acceptance and Commit- ment Therapy: An experiential approach to behavior change. New York: Guilford Press

Hayes, S. C., Barnes-Holmen, D., Roche, B. (2001). Relational frame theory: A post-skinnerian account of human language and cognition. New York: Plenum Press.

Hayes, S. C. (2002a). Acceptance, mindfulness, and science. Clinical Psychology: Science and Practice, 9 (1), 101-106.

Hayes, S. C. (2002b). Buddhism and Acceptance and Commitment Therapy. Behavioral Practice, 9, 58-66.

Hayes, S. C. (2003). Mindfulness: Method and process. Clinical Psychology: Science and Practice, 10 (2), 161-165.

Hayes, S. C. (2004). Acceptance and Commitment Therapy, relational frame theory and the third wave of behavioral and cognitive therapies. Behavior Therapy, 35, 639-665.

Hayes, S. C., Follette, V. M., Linehan, M. M. (2005). Mindfulness and accep- tance: Expanding the cognitive-behavioral tradition. New York: Guilford Press.

Hayes, S. C., Luoma, J., Bond, F. W., Masuda, A., Lillis, J. (2006). Acceptance and Commitment Therapy: Model, processes and outcomes. Behaviour Research and Therapy, 44, 1-25.

 

Fonte

 

Secondo gli scienziati, questa è la musica più rilassante

Notizia di Novembre 2016

Un team di neuroscienziati britannici ha cercato di trovare una soluzione con un pezzo musicale che metta d’accordo tutti, e che possa essere universalmente riconosciuto come “il brano più rilassante del mondo”.

Lo studio è stato condotto su partecipanti che hanno tentato di risolvere quesiti difficili il più rapidamente possibile, mentre erano collegati ad alcuni sensori: i quesiti inducevano un certo livello di stress, e gli scienziati hanno accompagnato la loro risoluzione con una selezione di brani musicali, monitorando nel frattempo dati come la frequenza cardiaca, la pressione sanguigna e la frequenza del respiro.

Secondo il Dr. David Lewis-Hodgson di Mindlab International, che ha condotto la ricerca, la canzone che ha prodotto un maggior stato di relax è stata il brano "Weightless" del trio britannico Marconi Union, realizzata nel 2011 in collaborazione con la British Academy of Sound Therapy proprio con lo scopo di creare un’atmosfera il più possibile adatta al relax.

Il brano dura otto minuti, è strumentale, e secondo gli studi ad esso connessi, ha ridotto l’ansia degli ascoltatori del 65 per cento, attraverso “trucchi” come il tempo che inizia a 60 battiti al minuto e diminuisce gradualmente fino a 50 battiti al minuto.

La canzone è stata anche progettata in modo da non avere una melodia ripetitiva, in modo che il cervello non cerchi di prevedere cosa verrà dopo, il che aiuta a indurre un senso di rilassamento più profondo e senza distrazioni.

Per chi volesse provare se gli studi abbiano ragione, questo è il brano:

 

 

Ecco la Top Ten delle canzoni più rilassanti :

1. Marconi Union – Weightless

2. Airstream – Electra

3. DJ Shah – Mellomaniac (Chill Out Mix)

4. Enya – Watermark

5. Coldplay – Strawberry Swing

6. Barcelona – Please Don’t Go

7. All Saints – Pure Shores

8. Adelev Someone Like You

9. Mozart – Canzonetta Sull’aria

10. Cafe Del Mar – We Can Fly

 

CONSIDERAZIONI SULLA “181” – PROPOSTA DI LEGGE N.2233

Continua il dibattito sulla proposta di legge n.2233, una nuova proposta di legge in materia di politiche di salute mentale, portata avanti dall’on. Ezio Casati e dal Presidente del gruppo parlamentare PD Ettore Rosato, su spinta del lavoro partito da Trento de ‘Le Parole Ritrovate’. In tale contesto, pubblichiamo le riflessioni di Silvana Gasperoni e Guido Pullia.

1) Quali sono i motivi che  portano a definire la necessità di una nuova legge? 

a) La precedente è sbagliata

b) La precedente non prevede adeguate coperture economiche

c) Non sono previste adeguate sanzioni per chi non la applica

d) I percorsi formativi per le vecchie e le nuove figure professionali non sono precisati (ruolo dell’Università, che spesso si è fatta notare per una visione neo positivistica della salute mentale).

La nuova proposta afferma che la 180 non è sbagliata.

La nuova proposta non tocca minimamente i punti b), c), d).

2) Pericoloso toccare una legge “giusta”: significa metterne in discussione i principi (si vedano la “disponibilità” a ridiscutere, in prospettiva, questioni come i Trattamenti e gli accertamenti Obbligatori e l’abbandono della titolarità del Dipartimento di salute Mentale sul territorio a proposito dei trattamenti ospedalieri – articolo 10: “ricovero presso un SPDC di un ospedale individuato dall’autorità competente” – anche una clinica privata ? )

3) L’articolo 10 non mette al bando, come bisognerebbe fare, la contenzione fisica.

4) Lo sfondo “culturale” della proposta di legge, esplicito nelle premesse, è quello di un’istituzionalizzazione molle (per usare un’espressione basagliana): lo sfondo paternalistico della legge fa sì che l’utente sia negato nella sua conflittualità per portarlo a “sentirsi grato” ai suoi curanti e familiari che non vogliono che “il suo bene”. Sempre nelle premesse a proposito della ricerca di risorse private non c’è la precauzione di sottolineare ed evidenziare il rischio di possibili conflitti d’interesse.

5) Le figure degli UFE (Utenti e Familiari Esperti) non trovano una definizione precisa e, pur in assenza di questo, si attribuiscono loro poteri addirittura sulla diagnosi (art. 6  “già dalla prima accoglienza”! ) Va detto che utenti e familiari non sono sempre portatori di interessi coincidenti e che i rischi dell’eventuale remunerazione vanno individuati a fronte del valore della gratuità.

6) Chi sarebbe il “Garante”? Quali i criteri e le competenze? Chi  lo sceglie? Il giudice tutelare? Esiste già l’Amministrazione di sostegno, esistono i Centri e i Tribunali dei  diritti del malato: diamo forza e facciamo funzionare questi istituti. Qual è la necessità di introdurre una nuova figura in cui il potere dei familiari  e dei volontari diventerebbe senz’altro prevalente su quello dell’utente, oltre che su quello dei curanti? E’ senz’altro necessario coinvolgere, oltre che interpellare, i familiari e i volontari (nell’ambito di progetti di cura e ri-abilitazione discussi a livello di équipe allargata): è sufficiente che questi principi siano sottolineati all’interno di Progetti obiettivi, Piani di zona o altri strumenti che normino l’integrazione tra sociale e sanitario.

7) L’Art. 12. Sui rischi di un’impresa sociale gestita dai familiari già mettevano in guardia (come ci ricorda la letteratura che si occupa dell’ “affido”) molti psichiatri “illuminati” anche italiani dell’800. Utenti e familiari possono essere portatori di interessi diversi e conflittuali (Art. 15 e 16: qui i rappresentanti degli utenti e dei familiari sembrano intercambiabili).

8) Tutta l’operazione “181” sembra voler archiviare definitivamente Basaglia per sostituirlo con altri protagonisti e spostare sul privato (anche “sociale”) la gestione della sofferenza psichiatrica e le conseguenti remunerazioni…. Così il pubblico potrà, se ha o coltiva altri interessi, continuare a deresponsabilizzarsi.

 

Silvana Gasperoni e Guido Pullia

Incontro nazionale Bipolari 8 - 9 e 10 maggio 2015

https://www.facebook.com/events/1041146629232084/

Incontrarsi per confrontarsi, conoscersi, aiutarsi, approfondire le problematiche del DB cercando di prevenire le crisi e sfruttare le potenzialità

30 Marzo, Giornata Mondiale Disturbo Bipolare

World Bipolar Day: Call to action

Previsto per il 30 marzo il World Bipolar Day (WBD), in concomitanza con il compleanno di Vincent Van Gogh, a cui è stato diagnosticato, postumo, un probabile disturbo bipolare.

La Giornata mondiale bipolare, con l'intento è di portare consapevolezza e sensibilizzazione verso la patologia dei disturbi bipolari, eliminare lo stigma sociale annesso. Attraverso la collaborazione internazionale, l'obiettivo della Giornata mondiale bipolare è quello di portare informazioni sul problema all'intera popolazione mondiale, educare e migliorare la sensibilità verso la malattia.
Il disturbo bipolare è una problematica mentale che rappresenta una sfida significativa per pazienti, operatori sanitari, i familiari ed intere comunità. Nonostante sia seriamente ritenuto, diverse volte, una condizione medica come il il diabete e le malattie cardiache, il grado di accettazione non è ancora abbastanza diffuso, c'è sempre una barriera, fastidiosa anche per le diagnosi e i trattamenti efficaci. Al fine di affrontare la disparità nel modo in cui il bipolar disorder è visto in diverse parti della Terra, la Rete asiatica del disturbo bipolare (ANBD), l'International Bipolar Foundation (IBPF), e l'International Society for Bipolar Disorders (ISBD) si sono riuniti per lavorare sul concetto di un "giorno bipolare" sul web.
Quando l'Anbd ha descritto l'idea all'Isbd, il presidente di quest'ultima, WIllem Nolen, ne è stato subito entusiasta, ed è subito stato invitata anche l'Ibpf ad aderire all'iniziativa, c'è fiducia e per una crescita costruttiva e nel tempo. Muffy Walker, fondatore e presidente di Ibpf, ha dichiarato perché ha ritenuto importante essere coinvolti nel Wbd, facendo riferimento al famoso sogno di uguaglianza fra gli uomini di Martin Luther King. Walker ha un figlio che ha vissuto gran parte della sua vita con disturbo bipolare, e spera che persone come lui un giorno vivranno in un luogo dove non saranno giudicate dalle loro malattie , ma dalla profondità d'animo, dal carattere. Walker crede che la Giornata aiuterà a portare detto sogno a compimento. Manuel Sanchez de Carmona, presidente eletto di ISBD, ha ritenuto WBD un'ottima opportunità per raggiungere i pazienti, le famiglie e gruppi di sostegno, per invitarli a lavorare insieme a questo progetto globale per sensibilizzare e portare consapevolezza, tramite uno sforzo  motivato e forte.
Parlando di dati, si stima che il disturbo bipolare affligga tra l'1% e il 2% della popolazione e possa raggiungere il 5%. Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità è una fra le più alte cause di disabilità nel mondo.
Le associazioni, con il supporto dei principali esperti di tutto il pianeta, stanno sostenendo gli sforzi per indagare su cause biologiche, obiettivi per il trattamento farmacologico, trattamenti migliori, migliori metodi di diagnosi, sulle componenti genetiche della malattia e su strategie di vita efficace con disturbo; e questo è solo l'inizio.
Christine Saenz, una paziente e blogger, spiega di essere entusiasta di questo progetto, che il messaggio è importante per educare il mondo e combattere lo stigma associato alla malattia mentale, che bipolare non deve essere spaventoso. Lei è il volto dell'essere bipolare, rimarca della sua condizione di persona "come tutti gli altri", con un piano di trattamento giusto è in grado di vivere una vita stabile e felice .
L'evento non ha ancora un sito definito dove proporre la giornata, nel frattempo si può visitare la pagina Facebook (www.facebook.com/worldbipolarday). Isbd invece ospiterà annunci a tema su una sezione speciale. La pagina Wbd ospiterà comunicati stampa, oltre a fornire un luogo per pubblicare foto, storie e condividere l'ispirazione con altri che condividono la visione del Wbd.
Per ulteriori informazioni sul WBD, per eventuali domande, commenti o annunci di eventi, si prega di contattare Jill Olds a jillo@isbd.org This e-mail address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it. .
Fonte

Link utile

“Salute Mentale News offre notizie sulla salute mentale, e informazioni/risorse provenienti da fonti di notizie attendibili e dalle associazioni per la salute mentale.
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Passaggio da Disordine Bipolare a Bipolare In-Ordine

Sfortunatamente, la parola “bipolare” è generalmente utilizzata per descrivere un sottoinsieme di persone che hanno reazioni avverse quando si allontanano di molto dal polo alto o basso.” Sebbene collegato a quanto si trovi lontano dal centro, non vi è una distanza dal centro che garantisce un modo di reagire necessariamente negativo. Dipende molto da quanto siamo lontani dalla nostra zona di comfort. Utilizzare bipolare come termine per descrivere la persona dis-ordinata è una semplificazione eccessiva che va troppo in là. Dovremmo almeno distinguere la differenza tra l'avere "Dis-Ordine" Bipolare o Bipolare "In-Ordine". Teniamo conto che il passaggio della bipolarità da Dis-Ordine Bipolare a Bipolare In Ordine è solo una semplificazione conveniente di un argomento molto più complesso.

Ci sono sei fasi distinte di bipolare: Crisi, Managed, Recovery, Libertà, Stabilità e Autocontrollo. I primi tre sono considerati Dis-ordine, mentre le ultime tre sono chiaramente In-ordine .
Disturbo Bipolare
Siamo in Crisi quando l'intensità del nostro stato alto o basso ci travolge. Sul lato negativo, comunemente chiamata depressione, perdiamo la capacità di agire o possiamo essere in grado di farlo solo quanto basta per tentare il suicidio. Sul lato alto, comunemente chiamata mania, perdiamo la nostra capacità di controllare il nostro comportamento e possiamo mettere noi stessi e gli altri a grande rischio.
Tuttavia, anche i più Disordinati di noi non sono in crisi tutto il tempo.
La maggior parte delle persone con Disturbo Bipolare passa la maggior parte del loro tempo in fase gestita. Utilizzano diversi strumenti per mantenere l'intensità lontana dal raggiungere un livello di crisi, vivono ancora in momenti chiaramente di disagio. Lottano per ridurre al minimo l'intensità con l'obiettivo di arrivare al Recupero.
Recovery, come definito dal National Institute of Mental Health (NIMH), significa che le manie e le depressioni sono state rimosse. Il movimento del Recovery potrebbe impugnare tale definizione, ma non ho ancora sentito nessuno che definisce il recupero come l’aver rimosso del tutto i due poli. Pertanto, per Recupero s’intende ridurre l'intensità di mania e depressione, fino al punto da avere il controllo dei nostri comportamenti. Il NIMH ha stabilito Recovery come uno stato instabile nel loro studio STEP-BD di riferimento: viene considerato che si ha un Disturbo bipolare, anche se in remissione temporanea. Il modello medico che vede il Disturbo Bipolare solo come una malattia non funziona. Le valutazioni, gli strumenti e obiettivi sono tutti basati sull'idea che la Bipolarità è una malattia che deve essere gestita verso la riduzione e non completamente eliminata. E' un sistema che, dai suoi stessi studi , è stato dimostrato non funzionante ed è inaccettabile dato che sono già stati prodotti risultati migliori.

Bipolare in ordine

La fase Libertà inizia quando noi rifiutiamo l'idea che non siamo in grado di gestire l’essere bipolare e facciamo lo sforzo di espandere la nostra zona di comfort, invece di cercare di mantenere la remissione. Valutare la capacità di controllare con diversi tipi d’intensità , consente di utilizzare mezzi atti ad un lieve aumento della funzionalità e intensità, invece di ridurle, e adottare misure ben pianificato un po’ 'al di fuori della nostra zona di comfort e per poi ritornarci subito dopo. Con la pratica, perverremo a trovarci a nostro agio con intensità che una volta erano al di fuori del nostro controllo completo. Impariamo a bilanciare stati maniacali e depressivi, invece di puntare alla remissione temporanea.

La fase di Stabilità si raggiunge quando siamo in grado di espandere la nostra zona di comfort alla stessa intensità di quella che una volta ci avrebbe messo in crisi. Ci vuole un lavoro interiore tremendo e grande impegno per raggiungere tale stabilità, ma l'idea che ciò sia impossibile è già stata dimostrata sbagliata, molti di noi hanno già ottenuto questo risultato. Si è sicuramente Bipolari, ma non c'è modo di considerare la nostra condizione in dis-ordine. Quando siamo in stabilità, siamo tranquilli invece di soffrire e anche le persone intorno a noi godono di riflesso di questa tranquillità.
Alcuni di noi hanno raggiunto una fase di stabilità ulteriore. La chiamiamo Autocontrollo perché si è raggiunta una padronanza superiore ai livelli d’intensità che prima avrebbero causato delle crisi. Questa fase è riservata a chi è disposto a dedicare ad esso una quantità enorme di sforzo . Mi piace paragonarla alla differenza tra un escursionista casuale e uno che si arrampica sull'Himalaya. Mastery (Autocontrollo) funziona al livello più alto in ogni impresa; è dotato di comprensione (invece di rifiuto) per ogni stato d'animo, pur essendo in grado di funzionare al meglio tanto da percepire il valore di ognuno stato mentale. Anche per chi non aspira al dominio di sé, uscire dal modello di disturbo dà a tutti la possibilità di raggiungere risultati migliori attraverso un miglioramento misurabile tramite valutazioni, migliori strumenti e piani di stage specifici che sono stati sviluppati da quelli di noi che sono già riusciti con se stessi. Nel mondo degli affari e dello sport, impariamo da chi è al meglio del "gioco" perché ha raggiunto il successo finale. Non avremmo mai cercato di avere istruzioni da qualcuno che si accontenta di rimanere a metà strada. Coloro che lottano con la loro condizione bipolare dovrebbero imparare da chi ha raggiunto bipolare in- ordine e rifiutare i consigli di chi difende il Disturbo Bipolare come il meglio cui possono “aspirare”.

(Tom Wootton)  Fonte

 

La risonanza magnetica può confermare la diagnosi di disturbo bipolare?

Da sempre la ricerca tenta di individuare dei “marcatori” in grado di confermare la diagnosi di disturbo bipolare effettuata dai clinici in base ai sintomi osservati e alla loro evoluzione nel tempo (“decorso”). Finora, purtroppo, tutti i tentativi sono stati infruttuosi.

Di recente un gruppo di ricercatori canadesi sembra avere identificato un possibile indicatore biologico di predisposizione al disturbo bipolare che può essere evidenziato mediante una semplice risonanza magnetica.

Nel loro studio, durato 7 anni e pubblicato sulla rivista Biological Psychiatry, hanno dimostrato che coloro che soffrono di disturbo bipolare e i loro familiari, anche se sono sani, presentano un aumento delle dimensioni di una specifica area del cervello, il giro frontale inferiore, che è fondamentale per la regolazione delle emozioni. Se questa scoperta dovesse essere confermata si aprirebbero nuovi e interessanti scenari sia per la possibilità di contare su un dato “oggettivo” per diagnosticare il disturbo bipolare, sia e soprattutto per la possibilità di individuare coloro che sono predisposti prima ancora che sviluppino la patologia in modo tale da mettere in atto alcune semplici norme di vita in grado di prevenirne la comparsa.

Basta fermarsi un attimo a riflettere per rendersi conto dell’accelerazione che ha subito la vita quotidiana di ciascuno di noi: i ritmi risultano sempre più incalzanti, aumentano il numero delle ore di lavoro così come la quantità di impegni e la frequenza dei contatti sociali, le giornate sono diventate degli “elastici” che riteniamo di poter tirare illimitatamente a seconda delle necessità. Sono inoltre sempre più frequenti i viaggi intercontinentali, che comportano bruschi cambiamenti di fuso orario e alterazioni del ritmo sonno/veglia. La moda dell’abbronzatura a tutti i costi e per tutto l’anno, che incentiva le vacanze invernali in montagna o in località di mare esotiche, ha incrementato l’esposizione alla luce solare. Si è infine ampiamente diffuso l’uso di sostanze stimolanti quali caffè, tè, Coca-Cola e cioccolata, l’abuso di sostanze tipo cocaina e cannabinoidi ed il consumo di farmaci come anabolizzanti e steroidi. Tutti questi fattori sono in grado di provocare uno stato di iperemotività, di tensione continua, di irritabilità, di instabilità dell’umore. Nelle persone più vulnerabili le conseguenze di questi fattori sono più gravi poiché possono facilitare la comparsa di un disturbo bipolare che altrimenti sarebbe rimasto latente o sarebbe insorto più tardi o possono aggravarne le manifestazioni.

Ma chi sono le persone “vulnerabili”? Diversi studi hanno chiaramente indicato che c’è una predisposizione genetica ai disturbi dell’umore. Si stima che il rischio di sviluppare una depressione per i familiari di primo grado (genitori e figli) di un paziente bipolare è circa del 20-25% almeno quattro volte superiore a quello della popolazione generale. La trasmissibilità familiare appare evidente anche nei lavori condotti su gemelli dove si è visto che la concordanza (cioè la possibilità per un fratello sano di sviluppare la stessa patologia dell’altro fratello) per il disturbo bipolare nei monozigoti, che hanno un patrimonio genetico identico, è molto più alta (fino all’80%) rispetto ai dizigoti (20%), gemelli nei quali la somiglianza dei caratteri ereditari è pari a quella dei semplici fratelli, questi risultati non si modificano anche se i gemelli vengono allevati separatamente, quindi in diverso “ambiente”, come accade in caso di adozione.

Una predisposizione familiare non significa affatto che si svilupperà la patologia: solo nelle forme più gravi il carico genetico è sufficiente da solo a determinare la comparsa della malattia, nella maggior parte dei casi è invece necessario anche il concorso di particolari condizioni fisiche o ambientali, come quelle ricordate in apertura. La consapevolezza di avere una predisposizione ereditaria verso una determinata patologia non deve essere considerata “un’arma carica puntata contro”, ma un preziosissimo strumento per la prevenzione. Inoltre, consente di riconoscere già dai primi sintomi il disturbo e di effettuare tempestivamente le cure più idonee per limitarne la gravità ed evitare il rischio di drammatiche complicanze. In molte branche della medicina si sono ottenuti importanti risultati sul piano della salute pubblica suggerendo di adattare lo stile di vita alle proprie caratteristiche costituzionali. Basti ricordare l’importanza di tenere sotto controllo la pressione arteriosa, di ridurre i livelli ematici di colesterolo e trigliceridi mediante la dieta e di aumentare l’attività fisica in chi ha una familiarità per disturbi cardiovascolari; la necessità di non esagerare, fin da giovane, nel consumo di zuccheri e controllare la curva glicemica in chi ha una predisposizione al diabete.

Se c'è una familiarità per disturbi dell’umore, soprattutto di tipo bipolare, è consigliabile avere ritmi di vita meno intensi e più personalizzati, non eccedere nell’esposizione al sole d’estate, ridurre l’uso di sostanze stimolanti, evitare il consumo anche solo occasionale di droghe, comprese quelle cosiddette “leggere”, non alterare il ritmo sonno/veglia e comunque mantenere un adeguato numero di ore di sonno, recuperando appena possibile quelle perdute.

Fonte

 

Per rendere più facile la comprensione dell'articolo, suggerisco di seguire il grafico esplicativo 

 

Farmaci plus psicoterapia nel DB

Farmaci plus psicoterapia nel trattamento dei disturbi dell’umore in comorbilità con disturbi di personalità. Una revisione della letteratura
Pharmacotherapy plus psychotherapy in patients with mood disorder and Axis II codiagnosis.
A review ANTONIO TUNDO, LUCA PROIETTI, PAOLA CAVALIERI
E-mail: tundo@istitutodipsicopatologia.it Istituto di Psicopatologia, Roma 

 

RIASSUNTO.

Scopo. Le linee-guida dell’American Psychiatric Association suggeriscono, in caso di comorbilità tra disturbi dell’umore e di personalità, di ricorrere all’associazione di farmaci e psicoterapia.

  Obiettivo del presente lavoro è valutare, in base ai dati presenti in letteratura, l’efficacia di questa associazione e, secondariamente, verificare se la risposta è influenzata dal tipo di disturbo di personalità, dall’orientamento della psicoterapia seguita o dalla modalità di associazione dei due trattamenti.

   Materiali e metodi. Lo studio è basato su una revisione della letteratura rilevante in lingua inglese pubblicata fino a febbraio 2011, condotta con una ricerca elettronica attraverso PubMed. Le parole chiave utilizzate sono: “major depressive disorder”, “bipolar depression”, “personality disorder”, “comorbidity”, “epidemiology”, “combined therapy”, “sequential therapy”. Gli studi sono suddivisi in base alle modalità di associazione dei due trattamenti: simultanea, sequenziale di potenziamento (le due terapie sono associate in caso di fallimento della monoterapia) e sequenziale orientata alla fase (terapia farmacologica in fase acuta, psicoterapia in fase di mantenimento).

   Risultati. I sei studi individuati indicano che, nelle forme unipolari, l’associazione farmaci e psicoterapia non aumenta significativamente le percentuali di remissione dalla fase acuta ma è comunque superiore alla monoterapia con antidepressivi in termini di accelerazione dei tempi di risposta, di recupero del funzionamento sociale e di miglioramento delle dimensioni sensibilità interpersonale e aggressività. Sia nelle forme unipolari, sia in quelle bipolari l’associazione farmaci e psicoterapia è più efficace della sola terapia farmacologica nel ridurre il rischio di recidive.

   Discussione. Le evidenze presenti in letteratura, seppur limitate e non generalizzabili, suggeriscono l’utilità dell’associazione farmaci e psicoterapia nei pazienti con disturbi dell’umore in comorbilità con disturbi di personalità. In questi pazienti, al contrario di quanto accade in quelli senza comorbilità di asse II, la modalità di associazione di farmaci e psicoterapia non sembra influenzare la risposta.

Riv Psichiatr 2012;47(3):226-230

Fonte

Nuovi farmaci per il disturbo bipolare

Questo il titolo di un articolo su Mente & Cervello di maggio 2012, firmato da Massimiliano Razzano.

Ho letto l'articolo-fonte originale- e lo riassumo di seguito.

Negli ultimi 60 anni, il litio è il trattamento preferito per il disturbo bipolare, ma poca ricerca è stata effettuata per scoprire il rapporto tra sali di litio e ritmi circadiani 

Una nuova ricerca dell'Università di Manchester ha scoperto che il litio rafforza l'orologio biologico,  il che potrebbero portare a nuove terapie con minori effetti collaterali.

Secondo il dottor Qing-Giu Meng -presso la Facoltà universitaria di Scienze della Vita, le oscillazioni di umore estreme  del disturbo bipolare sono associate a interruzioni dei ritmi circadiani: i ritmi di 24 ore controllati dai nostri orologi biologici che regolano la nostra attività di giorno e notte.

"Seguendo le dinamiche di una proteina chiave orologio, abbiamo scoperto che il litio ha aumentato la forza del meccanismo nelle cellule fino a tre volte, bloccando l'azione di un enzima chiamato glicogeno sintasi chinasi o GSK3," ha detto.

I risultati sono importanti, dice, perché offrono un "chiave per capire come il litio può essere in grado di stabilizzare le oscillazioni di umore nei pazienti bipolari".

I risultati ,inoltre, "aprono nuove opportunità per sviluppare  farmaci per il disturbo bipolare che imitano e persino aumentano l'effetto del  litio  sulla GSK3 senza gli effetti collaterali che possono causare i sali di litio" , ha aggiunto. 

Egli ha osservato che  farmaci inibitori GSK3 sono già in fase di sviluppo, e si sono  dimostrati di  efficaci nel trattamento di altre malattie, compreso il diabete e il morbo di Alzheimer.

"Sale di Litio ha un ampio spettro di obiettivi all'interno delle cellule, oltre a GSK3", ha detto, sottolineando che "i farmaci che bloccano solo le azioni di GSK3 avrebbe dunque il grande vantaggio di ridotti effetti 'off-target' del litio".

La ricerca è pubblicata sulla rivista PLoS One .

 

Litio rimane il farmaco migliore  per  il disturbo bipolare


Si stima che il disturbo bipolare interessi una persona su 100

Fonte: The Lancet

I medici dovrebbero sentirsi più sicuri nel raccomandare il litio per le persone con disturbo bipolare,  lo dicono i ricercatori , dell'Università di Oxford che hanno recensito le prove sui possibili effetti collaterali del farmaco.

Il litio è la più efficace terapia a lungo termine per il disturbo bipolare, ma il suo uso è diminuito. Ciò è dovuto in parte alle preoccupazioni circa la sicurezza del farmaco, come il suo possibile effetto sulla funzione renale.

Dal momento che molti pazienti che potrebbero beneficiare di litio a causa di queste incertezze possono non assumerlo, il team di Oxford guidato dal professor Giovanni Geddes del Dipartimento di Psichiatria ha deciso di raccogliere migliori informazioni sul litio e i suoi effetti collaterali.

Hanno valutato quasi 400 articoli per indagare i possibili effetti negativi del litio e fare una serie di raccomandazioni per guidare il trattamento di litio in futuro. I risultati sono pubblicati sulla rivista medica The Lancet.

Il Professore Geddes  e colleghi concludono che vi è un aumentato rischio di anomalie nella tiroide e le ghiandole paratiroidi. Questi si verificano in circa il 25% dei pazienti in terapia con litio rispetto al 3% e 0,1% nella popolazione generale, rispettivamente.

La terapia con litio causa anche l'aumento di peso, e può ridurre leggermente la capacità dei reni di concentrare l'urina.

Tuttavia, i ricercatori hanno scoperto che le prove che collegano i difetti di nascita con il trattamento con litio in gravidanza rimangpno incerti, e ci sono poche prove che collegano il litio con problemi di pelle o di perdita dei capelli.

Il disturbo bipolare è relativamente comune e può verificarsi a qualsiasi età. Si stima che colpisca circa una persona su 100.

La persona con disturbo bipolare può sperimentare stati d'animo che oscillano da un estremo all'altro, con periodi di depressione e mania della durata di diverse settimane o più. Queste fasi di sentimenti alti e bassi sono spesso così estreme che interferiscono con la vita quotidiana. 

Il Litio protegge sia per la depressione che per  la mania, e riduce il rischio di suicidio.
I ricercatori dicono che i rischi di effetti collaterali dovrebbero essere discussi con il paziente prima di iniziare la terapia con litio. Si consiglia di aggiungere i test dei livelli di calcio a esami del sangue in vista del rischio di iperparatiroidismo. Il team suggerisce che l'incertezza del rischio di difetti alla nascita dovrebbe essere spiegato alle donne in età fertile prima di considerare la terapia con litio, piuttosto che semplicemente non raccomandare il litio durante gravidanza. Il Professor Geddes e colleghi affermano che sono necessarie ulteriori ricerche sul rapporto tra litio e il rene.
Per le persone attualmente in terapia con  litio, essi raccomandano che i test della funzionalità renale, paratiroide e la funzione tiroidea debbano essere ripetuti almeno ogni 12 mesi. Gli esami del sangue deve essere ripetuto se vi è un cambiamento nello stato d'animo. I ricercatori aggiungono che il litio è pericoloso in caso di sovradosaggio o in circostanze che possono portare a esaurimento dei livelli di sodio o sovradosaggio nel  sangue.
Essi rilevano che la maggior parte dei pazienti che soffrono di tossicità da litio la manifestano solo  in caso di malattia, per esempio con diarrea, vomito, insufficienza cardiaca, insufficienza renale, o un intervento chirurgico -o. per interazione con un altro farmaco che sta assumendo 'Questo studio fornisce chiarimenti tempestiva della tossicità associata con la terapia al litio e, a conti fatti, ribadisce il suo ruolo come trattamento di scelta per il disturbo bipolare, 'commento del Dr  Gin Malhi dell'Università di Sydney e del dottor Michael Berk dell'Università di Melbourne in un articolo correlato nel Lancet . La ricerca è stata finanziato dal National Institute for UK Health Research.


Fonte

I geni danno solo la predisposizione. La malattia dipende da molte altre cose…

 

La genetica della malattia psichiatrica

Nei disturbi dell’umore, così come per le psicosi e per le sindromi schizofreniche, non è stata individuata una trasmissione di tipo mendeliano o legata a pochi geni circoscritti che svolgano un ruolo primario.

E’ emozionante ed incoraggiante leggere, sulla rivista Nature, della recente individuazione, da parte di ricercatori italiani e statunitensi, del gene chiamato MLO1, responsabile dell’insorgenza del tumore neuroblastoma, un tumore che colpisce i bambini in età prescolare. Scoperte simili sono però decisamente rare nello studio della malattia mentale. Come puntualizza David Pauls, uno dei maggiori esperti al mondo di genetica dei disturbi psichiatrici, esiste un problema fondamentale in ambito neuropsichiatrico: il fenotipo.
In altre parole, la definizione delle caratteristiche influenzate dai geni è estremamente difficile quando si studia il comportamento umano.
 La concezione di normalità ed anormalità è determinata in parte dalla ricerca e dalle conoscenze scientifiche, ma in parte anche da comportamenti e tendenze sociali e da valori culturali.
Per comprendere le malattia mentali, risulta necessario partire dal concetto di relatività: un mafioso che uccide il proprio capo per prenderne il posto verrà difficilmente considerato pazzo; una persona che ne uccide un’altra pensando di compiere un rito propiziatorio per una divinità sarà certamente ritenuta tale nella nostra società, ma non nelle vecchie tribù azteche, nelle quali i sacrifici umani erano del tutto normali.

La devianza è pertanto qualcosa di relativo ed è spesso la società stessa a definirne i confini. Dal momento che i disturbi psichiatrici vengono descritti e definiti non su base organica, ma su base clinica, a partire dalla registrazione di esperienze soggettive e dall’osservazione di manifestazioni comportamentali, non esistono misure diagnostiche obiettive, né marker biologici identificativi.
E’ pertanto ancora più difficile rispetto, per esempio, alle malattie tumorali indagare l’influenza dei geni sulle manifestazioni anormali e determinare il substrato genetico nella malattia psichiatrica. I disturbi mentali più comuni coinvolgono inoltre reti nervose ampiamente distribuite nell’ambito del sistema nervoso centrale e mancano di un’evidente localizzazione neuropatologia, rendendo molto difficile individuare variazioni specifiche della malattia.
Viste le difficoltà di affrontare le basi morfofunzionali delle malattie psichiatriche, a partire dalla localizzazione di un difetto neurofunzionale apparente, la ricerca si è così rivolta alle basi genetiche della malattia mentale, con lo scopo di individuare varianti genetiche connesse con un aumentato rischio di patologia e, conseguentemente, con lo scopo di individuarne anche le basi neurologiche. Vi sono numerosi studi di famiglie, figli gemelli ed adottivi che dimostrano come la genetica giochi un ruolo significativo nelle malattie psichiatriche maggiori, incluse schizofrenia, disturbi bipolari e depressivi.

La frequenza della schizofrenia nella popolazione generale è di circa l’1%; tuttavia, quando uno dei due gemelli ha ricevuto una diagnosi di schizofrenia, la probabilità che l’altro gemello sviluppi la malattia risulta pari al 50%.
In uno studio scandinavo, inoltre, i figli di una madre schizofrenica adottati dalla nascita hanno sviluppato la malattia nel 25% dei casi. I geni, comunque, non costituiscono per se stessi una causa sufficiente di innesco della malattia. E’ necessario un secondo cofattore eziopatogenetico ambientale.
Candidati plausibili a tale ruolo sono la denutrizione materna durante la gestazione, l’età paterna elevata, l’esposizione inter-uterina a malattie virali, il luogo di nascita urbano. La malattia mentale risulta, pertanto, causata da una complessa interazione tra ambiente e geni, come se le esperienze della vita fossero in grado di aggiungere una specie di patina chimica al DNA che controlla le funzioni cerebrali, senza, peraltro, alterarne la sequenza.
La storia individuale del malato non deve mai passare in second’ordine, la biologia deve incontrarsi con la biografia. In altre parole, il meccanismo deve incontrare la vita. A rendere ancora più complessa l’indagine genetica in psichiatria, va aggiunto il fatto che, per i disturbi dell’umore e dell’ansia, così come per le psicosi e per le sindromi schizofreniche, non è stata individuata una trasmissione di tipo mendeliano o legata a pochi geni circoscritti che svolgano un ruolo primario.

La trasmissione sembra, invece, poligenica, per cui tantissimi geni diversi fornirebbero un contributo molto piccolo alla predisposizione per uno o più disturbi.
L’ultima decade del secondo millennio è stata celebrata come quella del cervello, in onore ed in segno di riconoscimento degli enormi progressi compiuti nel campo delle neuroscienze ed il terzo millennio si apre con l’auspicio di ulteriori ed importanti conquiste verso la comprensione delle malattie mentali.
In quest’ottica, la psichiatria accoglie finalmente una visione integrata del comportamento umano normale e patologico, che coglie allo stesso tempo il ruolo dei geni, dell’esperienza e delle influenze ambientali sullo sviluppo e sul funzionamento della mente umana. La speranza è quella di individuare varianti genetiche connesse con un aumentato rischio di patologia e che l’identificazione dei geni legati ai disturbi comportamentali aiuti a comprendere la catena causale ed i meccanismi biologici coinvolti. Serva, di conseguenza, ad identificare nuovi target molecolari per la terapia farmacologica.

 

Autore: Cristina Sirch
Psicologa e Medico Chirurgo, specialista in nefrologia, dirigente nella S.C. di Nefrologia e Dialisi,
Azienda Ospedaliero – Universitaria Ospedali Riuniti Trieste

 

Tratto interamente da: SocialNews

 

 

All'Università di Leeds

Due potenziali farmaci per il disturbo bipolare (25-10-2011)


Rostafuroxina ed SL327 sono efficaci nei confronti dell'enzima NKA e della proteina ERK, i cui livelli sono alterati nei pazienti affetti

 

Il disturbo bipolare è caratterizzato da un umore altamente variabile dalla maniacalità alla depressione. Come per l’autismo, si ritiene che si tratti in realtà di uno spettro di disturbi e gli studi di familiarità ne hanno evidenziato una certa trasmissibilità parentale: con tutta probabilità, le cause dell’insorgenza del disturbo sono sia genetiche sia ambientali.

“Sappiamo da precedenti studi che nei pazienti bipolari i livelli di enzimi noti come NKA possono essere anomali, ma finora le evidenze scientifiche non erano sufficienti a motivare studi clinici più arrofonditi sull’argomento”, ha spiegato Steve Clapcote, ricercatore dell’Institute of Membrane and Systems Biology dell’Università di Leeds.

In quest’ultimo studio, i cui risultati sono apparsi sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), è stato utilizzato un ceppo di topi geneticamente modificati in modo che esprimessero sintomi molto simili a quelli degli esseri umani colpiti dal disturbo. In particolare, gli animali sono stati dotati di una particolare mutazione che impedisce il normale funzionamento dell’enzima NKA: in laboratorio gli stessi roditori mostravano un comportamento assimilabile a quello umano nella fase maniacale, caratterizzato da una maggiore attitudine a correre rischi, da iperattività e da schemi di sonno veglia alterati. Tali sintomi sono stati ridotti di intensità con la somministrazione di farmaci attualmente disponibili per il disturbo bipolare.

Le opzioni farmacologiche in questo caso, sebbene efficaci, sono limitate al litio e all’acido valproico, due molecole che non sono indicate in alcuni tipi di pazienti e che possono mostrare effetti collaterali significativi. Si evidenzia quindi la necessità di trattamenti più mirati, più efficaci e meglio tollerati.

Nello studio dei ricercatori di Leeds è emerso come accanto a una diminuita attività dell’enzima NKA vi fosse anche un incremento nell’attività della proteina ERK. Sono così stati utilizzati due farmaci noti per la loro azione nei confronti di questi due fattori: rostafuroxina ed SL327.

“Rostafuroxina si è dimostrata sicura nei trial clinici per il trattamento dell’ipertensione”, ha sottolineato Clapcote. “”Nessuno finora ha verificato i suoi effetti sul cervello, ma i nostri studi mostrano la possibilità che possa essere indicato nel trattamento della fase maniacale del disturbo bipolare. In modo simile, l’SL327, molecola nota per la sua capacità di inibire l’attività dell’ERK, è in grado di attenuare il comportamento maniacale dei topi”. (fc)

 

Fonte: http://lescienze.espresso.repubblica.it/articolo/

 

Malattie mentali: colpa dei batteri (10-02-2011)

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Contento o con il morale a terra, con atteggiamenti strani o affetto da veri e propri disturbi mentali. La causa potrebbe essere, almeno in parte, di un’infezione batterica e della conseguente risposta del sistema immunitario. Alcuni studi, infatti, mostrano che questo processo può influenzare il nostro umore, la memoria e le capacità di apprendimento. E persino modellare la nostra personalità, secondo quanto racconta un articolo su New Scientist. La buona notizia? Comprendere questi legami tra cervello e sistema immunitario potrebbe portare a un nuovo modo di trattare alcuni disordini, dalla depressione alla sindrome di Tourette.

Comportamento
Sammy Maloney era un dodicenne di Kennebunkport nel Maine, sano, che suonava nella banda della scuola e che più di ogni altra cosa amava andarsene in giro con i suoi amici dopo le lezioni. Nel 2002, però, qualcosa cominciò a cambiare nella sua personalità. Prima cominciò a camminare a occhi chiusi per tutto il cortile, poi a usare solo la porta sul retro per entrare in casa, a indossare solo alcuni indumenti, a impedire che le finestre venissero aperte o che le luce fossero spente. Nel giro di quattro-sei settimane al ragazzo venne diagnosticato prima un disturbo ossessivo compulsivo, poi una sindrome di Tourette. Fortunatamente, qualche tempo dopo un amico di famiglia suggerì ai genitori di Sammy di sottoporlo a un test per lo streptococco, un comune batterio che di solito non provoca più di un mal di gola. Sam non mostrava nessun sintomo da infezione da streptococco, ma le analisi rivelarono l’infezione in atto; quando il medico prescrisse una terapia antibiotica, i suoi sintomi cominciarono a migliorare. Oggi è un ventenne come tutti gli altri.
Per quanto raro, il caso di Sammy, non è del tutto inusuale. Almeno secondo Madeline Cunningham della University of Oklahoma che ha passato anni a studiare i disturbi comportamentali legati a infezioni infantili da streptococco, inclusa la sindrome di Tourette, un disturbo chiamato Pandas e la Corea di Syndenham (associata a tic e incapacità di controllare le proprie emozioni). Cunningham ha dimostrato che alcuni anticorpi contro un tipo di streptococco legano i recettori di alcune aree del cervello che controllano i movimenti, portando al rilascio del neurotrasmettitore dopamina. Il che spiegherebbe i tic e i problemi emotivi sperimentati in alcuni dei bambini con questi disordini. Betty Diamond del Feinstein Institute for Medical Research in Manhasset, New York, ha inoltre dimostrato che alcuni anticorpi associati con il lupus, una malattia autoimmune, riescono a distruggere i neuroni legandosi a particolari recettori nel cervello
.Questo potrebbe in parte spiegare i cambiamenti di umore e il declino cognitivo associato alla malattia.

Felicità
Esiste un batterio che regala il buon umore, si chiama Mycobacterium vaccae. Inizialmente doveva essere un nuovo modo per sconfiggere il cancro. L’idea era che iniettando un certo batterio nelle persone si sarebbe stimolato il loro sistema immunitario a distruggere il tumore. Sfortunatamente, il trattamento non ebbe l’effetto desiderato. Tuttavia i ricercatori notarono che quanti si erano sottoposti al trattamento avevano sperimentato un radicale miglioramento dell’umore e della qualità della vita. I dettagli ancora non sono chiari, ma alcuni studi su animali suggeriscono che la risposta immunitaria provocata dal Mycobacterium vaccae faccia rilasciare ai neuroni della corteccia prefrontale grandi quantità di serotonina, migliorando l’umore e il benessere. Graham Rook della Royal Free and University College Medical School di Londra ha recentemente suggerito che la depressione è prevalente nelle società occidentali perché le persone non sono più esposte naturalmente a organismi come M. vaccae nei primi anni di vita. A questo punto la domanda sorge spontanea: questo batterio potrebbe essere usato per rendere felici le persone? Ovviamente è  più difficile ottenere l’approvazione per iniettare batteri vivi in persone depresse che non in pazienti malati di cancro in fase terminale. Quindi il prossimo passo previsto è lo studio clinico in pazienti con il cancro alla prostata. Se ci sarà un forte effetto di miglioramento dell’umore, allora forse le aziende farmaceutiche potranno concentrarsi di più sul potenziale antidepressivo del batterio. Se poi venisse scoperto il meccanismo preciso, chissà forse potrebbe essere possibile sviluppare un farmaco che ne mimi l’effetto.

Memoria
Migliorare il sistema immunitario per mantenere efficace la memoria con il trascorre del tempo? Jonathan Kipnis della University of Virginia ne è convinto. Con il suo team di ricerca, infatti, ha fatto crescere alcuni topi deficitarii delle cellule Cd4 (un tipo di cellule del sistema immunitario), scoprendo che gli animali avevano limitate capacità di apprendimento e scarsa memoria. Quando poi i ricercatori somministravano ai topi le cellule Cd4, la memoria migliorava. Analogamente, quando Kipnis induceva la morte di queste cellule in roditori sani, la loro memoria diminuiva. Inoltre, altri studi del ricercatore mostrano che l’apprendere di nuovi compiti implica una l’arrivo di cellule Cd4 alle meningi, le membrane che circondano il cervello. Qui il rilascio di interleuchina 4, (che controlla la risposta immunitaria) dice alle cellule del cervello di rilasciare un fattore neurotico, una proteina che migliora l’apprendimento. Kipnis ora sta sviluppando un tipo di farmaci mirati al miglioramento della memoria in risposta a un rafforzamento del sistema immunitario. Secondo il ricercatore, i farmaci potrebbero essere usati non solo per invertire il declino cognitivo legato all’età o a determinate patologie,  ma anche per migliorare la memoria nelle persone sane.

Depressione, sospetto ed empatia
Quando siamo malati, spesso ci sentiamo letargici e perdiamo il nostro appetito. La nostra concentrazione soffre e noi possiamo sentirci ansiosi, depressi e antisociali. Questi cambiamenti sono causati da molecole segnale, chiamate citochine, che sono rilasciate dalle cellule del sistema immunitario in risposta allo stress e alle infezioni. Recenti studi hanno mostrato che se si inietta in una persona sana l’interferone alfa, un farmaco antivirale che promuove il rilascio di citochine, questa inizierà a mostrare i sintomi della depressione. “Teoricamente le citochine possono interagire con ogni meccanismo rilevante nella depressione”, spiega Andrew Miller della Emory University School of Medicine di Atlanta, in Georgia. Miller, inoltre, ha recentemente scoperto che il farmaco attiva la corteccia cingolata anteriore, una regione coinvolta nell’individuazione degli errori e nella gestione del conflitto. Simili meccanismi di attivazione sono stati osservati nelle persone con gravi nevrosi e comportamenti ossessivo compulsivi. “Se aumenti l’attività in questa area del cervello le persone tendono a essere più sospettose e a interpretare segnali innocenti come minacce”, spiega il ricercatore. Oltre alle infezioni e alle tossine, anche stress e obesità possono provocare il rilascio di citochine. Gli effetti di queste sostanze, tuttavia, non sono tutti negativi tuttavia, come sottolinea Naiomi Eisenberger della University of California Los Angeles. Insieme ai suoi colleghi, ha scoperto che alcune persone diventano più sensibili al dolore degli altri e ai problemi della società se veniva iniettata loro tossina batterica che aumenta la secrezione di citochine. In particolare una citochina, chiamata interleuchina 6, sembra aumentare l’attività del cervello coinvolta nell’empatia.
Fonte

Riferimenti: wired.it

Depressione: tutta questione di Dna (04-01-2011)

Depressi si nasce, non si diventa. È ciò che sostengono alcuni ricercatori dell'Università del Michigan dopo aver verificato i risultati di 54 studi precedenti sull'argomento, arrivando alla conclusione che a determinare i sintomi depressivi sia un solo gene, tale 5-HTT, naturalmente supportato da eventi traumatici di natura esterna.
La ricerca è stata pubblicata su Archives of General Psychiatry e giunge esattamente alle conclusioni opposte rispetto a uno studio del 2009 pubblicato sul Journal of the American Medical Association (Jama), stando ai cui risultati non emergeva “una correlazione significativa del genotipo del gene in questione con la depressione, né con la suscettibilità agli eventi stressanti della vita”.
La ricerca dell'Università del Michigan sostiene invece che una particolare variante genetica ha l'effetto di indebolire i circuiti cerebrali che gestiscono le emozioni negative, esponendo il soggetto al rischio di sviluppare sintomi depressivi in occasione di eventi traumatici.Il primo autore della ricerca, Srijan Sen, commenta: “avendo incluso tutti gli studi più pertinenti sull'argomento, possiamo confermare che il corredo genetico di un individuo fa la differenza nel modo in cui lui o lei risponde allo stress".
In realtà, poco tempo fa un'altra ricerca, stavolta dell'Università di Yale, nel Connecticut, era giunta a conclusioni simili, identificando una sorta di interruttore genetico potenzialmente aggredibile da un farmaco studiato ad hoc ( vedi www.sfidabipolare.net
La depressione è frutto non solo di componenti psicologiche, ma spesso anche di aspetti fisiologici. È su questi ultimi che puntano i ricercatori statunitensi, allo scopo se non altro di ridurre i rischi di insorgenza della patologia. Il prof. Ronald Duman, docente di psichiatria presso l'Università di Yale e autore della ricerca, spiega: “questo studio ha individuato il gene che potrebbe essere una causa primaria, o almeno un fattore di contributo importante, per le anomalie che portano alla depressione".
L'esistenza di un vero e proprio gene “deviato” soddisferebbe gli interrogativi riguardanti l'eterogeneità delle reazioni dei pazienti alla somministrazione dei farmaci antidepressivi più comuni, come quelli che agiscono intervenendo sull'assorbimento della serotonina, un neurotrasmettitore. Malgrado questi farmaci funzionino su un vasto campione di pazienti – senza considerare comunque gli effetti collaterali –, un buon 40 per cento degli stessi non trova giovamento dalle cure standard. L'équipe di ricerca guidata dal professor Duman si è proposta quindi di cercare una risposta genetica al problema, analizzando il genoma di due gruppi di persone, il primo formato da pazienti deceduti a cui era stata diagnosticata la depressione, l'altro da soggetti sani.
Per i medici del Connecticut, tuttavia, il gene incriminato sarebbe un altro, MKP-1, presente in percentuali due volte maggiori nei tessuti cerebrali degli individui che soffrono di depressione. Per motivi ancora da chiarire, il gene in questione ha come obiettivo una molecola ritenuta fondamentale per la funzionalità e la sopravvivenza stessa dei neuroni, ma una volta disattivato, come hanno provato a fare i ricercatori su un gruppo di topi, i sintomi depressivi scompaiono. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Nature Medicine e costituisce una speranza concreta per lo sviluppo di farmaci specifici che abbiano come bersaglio privilegiato proprio questa variante genetica, in particolare nei casi di depressione resistente ai trattamenti convenzionali.
Fonte: Italia Salute:  http://italiasalute.leonardo.it/News.asp?ID=10361

I pazienti migliorano dopo un breve ricovero psichiatrico?

BACKGROUND: Le informazioni sugli esiti delle cure ospedaliere in acuto nella pratica psichiatrica di routine sono scarse. In particolare non c’è certezza su quanto una breve ospedalizzazione possa produrre dei cambiamenti clinicamente significativi.
SCOPO: Stimare l’outcome sintomatologico in un campione rappresentativo di pazienti ammessi per un trattamento breve in reparti psichiatrici di ospedali generali in Italia.
METODI: I pazienti sono stati valutati al ricovero e alla dimissione utilizzando la Brief Psychiatric Rating Scale (BPRS) a 24 item. È stato calcolato un indice di cambiamento affidabile per stimare la percentuale di cambiamento attribuibile a errori di misurazione ed è stato adottato il punteggio di cut-off di 38 per identificare i pazienti che mostrano un cambiamento clinicamente significativo. 
RISULTATI: Mediamente la durata del ricovero è stata di 5,7 giorni. Il punteggio medio alla BPRS è sceso da 53,2 all’ingresso a 41,5 alla dimissione, dimostrando un miglioramento statisticamente significativo con un effect size di 0.80. Tuttavia un cambiamento affidabile è stato raggiunto dal 24,7% dei pazienti e un cambiamento clinicamente significativo dal 13,6%. 
CONCLUSIONI: Fare affidamento su significatività statistica e dimensione dell’effetto produce una sovrastima gli effetti del trattamento, mentre un indice di cambiamento affidabile e clinicamente significativo fornisce un modo conservativo di valutare l’outcome. Pochi pazienti hanno mostrato un miglioramento rilevante dopo un ricovero breve.
FONTE: http://www.aipsimed.org/articolo/i-pazienti-migliorano-dopo-un-breve-ricovero-psichiatrico- 

Psichenews Anno 8, Numero 144 - 30 Novembre 2010.


Disturbo Bipolare e Risonanza Magnetica eco-planare

Forma bipolare

A sorpresa la risonanza fa bene

 La risonanza magnetica eco-planare, un moderno modello dell' arcinota macchina che fotografa il cervello, avrebbe un' insospettabile azione terapeutica sulla depressione bipolare, una forma che alterna ciclicamente alti e bassi dell' umore. L' insolito effetto, già segnalato nel 2004 da Bruce Cohen dell' Harvard Medical School, è stato confermato da uno studio in cui il 77% dei pazienti esaminati con questa risonanza si sentiva meglio, mentre solo il 29% di quelli sottoposti a un finto esame di controllo riportava tale sensazione, scongiurando così un effetto placebo. Che si possa influenzare l' attività cerebrale con l' energia elettromagnetica, l' ha d' altronde dimostrato da tempo il vecchio elettroshock. Anche se sempre meno cruento, potrebbe comunque essere presto rimpiazzato dalla magnetoterapia convulsivante (MST) che usa impulsi magnetici invece che elettrici.

Pagina 51 (7 febbraio 2010) - Corriere della Sera

Esame diagnostico per il Disturbo Bipolare

MEDICINA:AUSTRALIA; DA SONDA ORECCHIO DIAGNOSI PSICHIATRICHE (ANSA) - SYDNEY, 21 OTT - Puo' sembrare una maniera improbabile per identificare problemi psicologici: una sonda inserita nell'orecchio. Ma gli scienziati australiani che hanno sviluppato l'innovativo test biologico sostengono che potra' rivoluzionare la diagnostica delle malattie mentali, permettendo di distinguere subito fra depressione e disturbo bipolare. Cio' che richiedeva anni di terapia potra' essere accertato entro un'ora. Ingegneri biomedici dell'universita' Monash di Melbourne hanno inventato un elettrodo che inserito nel canale auricolare puo' individuare mutamenti nelle strutture cerebrali quando il paziente e' inclinato in varie direzioni. Vengono cosi' identificati i 'bioindicatori' di diverse malattie mentali. L'elettrodo percepisce le risposte elettriche dal sistema vestibolare del cervello, che elabora e controlla riflessi posturali in risposta alle accelerazioni lineari e angolari della testa, ed ha forti legami con le parti primitive del cervello stesso, che regolano le emozioni e il comportamento. Il prof. Jayashri Kulkarni, del Centro di ricerca psichiatrica dell'universita', che guida il progetto, ha detto in un'intervista che il nuovo strumento diagnostico apre la strada a nuove relazioni fra psichiatria e ingegneria. '''E' una combinazione improbabile ma ci permette di attaccare l'ultima frontiera, nel comprendere cosa avviene nel cervello con le malattie mentali''. I ricercatori hanno sperimentato con successo il congegno su 200 pazienti. Nella prossima fase sara' messo alla prova su 1000 pazienti per verificarne l'efficacia. La ditta australiana di biotecnologia Neural Diagnostics si e' assicurata un'opzione esclusiva per commercializzare la tecnologia.(ANSA)

DNA: un gene unisce genio e follia

AGI) - Washington, 30 set. 2009 - E' ufficiale: esiste davvero una linea sottile che separa la follia dalla genialita'.

Infatti, le persone particolarmente creative hanno un gene in comune alle persone folli. Il gene in questione sarebbe collegato alla psicosi e alla depressione. Lo ha scoperto un gruppo di ricercatori della Semmelweis University (Ungheria) in uno studio pubblicato sulla rivista Psychological Science. Secondo gli studiosi, il gene identificato potrebbe spiegare perche' persone geniali come Vincent van Gogh e Sylvia Plath avevano tendenze distruttive. Il gene, chiamato 'Neuregulina-1', ha un ruolo nello sviluppo del cervello, ma una sua variante puo' essere associata a malattie mentali come la schizofrenia e il disturbo bipolare. Per arrivare a queste conclusioni i ricercatori hanno coinvolto nello studio un gruppo di volontari che si ritenevano molto creativi. Per misurare questa loro creativita' i volontari sono stati invitati a rispondere a una serie di domande insolite. I ricercatori hanno valutato le risposte in base alla loro originalita' e flessibilita'. Inoltre, i volontari hanno compilato un questionario riguardante le loro realizzazioni creative e i ricercatori hanno prelevato un campione del loro sangue. "I risultati - hanno detto i ricercatori - mostrano un chiaro legame tra il gene neuregulina-1 e la creativita"'. "I volontari - hanno spiegato - con una variante specifica di questo gene sono stati piu' inclini ad avere punteggi piu' elevati sulla valutazione della creativita' e delle realizzazioni".

Si tratta del primo studio che ha dimostrato che una variante genetica associata con la psicosi puo' avere degli effetti benefici. "I fattori molecolari - hanno concluso i ricercatori - che sono associati a gravi disturbi mentali. ma che sono presenti in molte persone sane, possono avere un vantaggio che ci permette di pensare in modo piu' creativo".

A questo proposito, lo stesso autore, il  Prof. Cesare Perri ha posto alla mia attenzione uno dei suoi  libri.
Una mente speciale. Intervista (immaginaria) al prof. Iulius Kepperdal. Premio Nobel 2033 per i suoi studi sulla schizofrenia
Una mente speciale è un testo di ardua classificazione e di agevole lettura. Con la formula di una (immaginaria) intervista ambientata nel 2033, viene illustrato ciò che in realtà si potrebbe fare già oggi, per restituire, come ripete l'autore, il diritto di cittadinanza a chi soffre di gravi disturbi psichici. Tra i boschi della Sila, in una suggestiva casa nutrice, sotterranea eppure pregna di luce, terapeuti particolari (angeli del bosco ed elfi) adottano dei cittadini speciali, affetti dalla c.d. schizofrenia, ridefinita sindrome della rinascenza, e li aiutano, con il recupero degli affetti e delle abilità, a rinascere, cioè a ritornare nelle città: essi risulteranno, in un'analisi retrospettiva, 'migliori' dei cittadini c.d. sani! L'intervista è anche l'occasione per illustrare la malattia in un'ottica originale e per alcuni aspetti, provocatoria: essa sarebbe l'espressione estrema, come l'anoressia o la depressione, di una funzione mentale geneticamente più evoluta, ma che rende le persone più sensibili agli stress e agli eventi vitali negativi. Le considerazioni parziali e di parte, le fantasticherie, arieggiano una proposta e un invito.

L'autore si augura che ne sia colto, nella voluta enfatizzazione, il senso di premura verso l'ammalato e di docile rivolta verso l'indifferenza delle città e delle istituzioni.
Del Prof Cesare Perri sottopongo all'attenzione di tutti il blog

 

 

Depressione, persuasione: le nostre eredità evolutive

Depressione, persuasione: le nostre eredità evolutive

Di Marco Cattaneo- (Mente e Cervello Aprile 2010)

Secondo alcune stime, un italiano su dieci soffre di depressione. Ma come sanno gli operatori del settore spesso il disturbo non viene diagnosticato, perciò la malattia potrebbe colpire anche una persona su sei, o addirittura una su cinque. Oltre Atlantico, il National Institute of Mental Health valuta che nell'arco della vita almeno un cittadino statunitense su due sia colpito da una crisi depressiva. Ma perché tante persone sono colpite proprio da questo disturbo psichico, mentre le altre malattie mentali sono generalmente rare?

Paul Andrews e Anderson Thomson - trovate il loro articolo a pagina 44 - si
sono posti la domanda in altri termini: siamo sicuri che la depressione sia una malattia, nel senso letterale del termine? La loro risposta è no. Così come la febbre è una reazione dell'organismo a un'infezione in corso, e coordina la risposta delle difese immunitarie, la depressione potrebbe essere la risposta evolutiva a un problema complesso, che ci spinge ad affrontarlo concentrandoci sulle sue parti, frammentandolo, rimuginando ininterrottamente sulle possibili soluzioni: la depressione, dicono, «è il modo in cui la natura ci dice che abbiamo complessi problemi di natura sociale e che la mente è impegnata per risolverli». La rivoluzionaria ipotesi di Andrew e Thomson ha già sollevato l'interesse degli specialisti e dei media, e potrebbe aprire la strada a nuovi metodi per far

fronte al mal du siècle del nostro tempo.

Come racconta Kevin Dutton a pagina 26, una traccia del nostro passato evolutivo è rimasta impressa anche nei meccanismi che ci portano a fidarci degli altri, a farci convincere di quella che, all'apparenza, ci pare una buona idea. E in una società articolata come quella moderna questa eredità è diventata il cavallo di Troia di cui si servono i maghi della persuasione per disattivare i nostri sistemi di sicurezza cognitivi e farsi accordare la nostra fiducia. Sia che si tratti dei buoni sconto di un centro commerciale o degli irrinunciabili vantaggi di diventare un «nuovo abbonato» sia che si tratti di strappare il nostro voto alle prossime elezioni, i professionisti della persuasione usano per lo più gli stessi trucchi. E Dutton prova a svelarci le insidie nascoste nei loro messaggi, quasi sempre molto semplici e, per questo, più pericolosi. Chissà se riusciremo a farne tesoro, disinnescando almeno qualcuno dei loro tranelli...

 

Nuova opzione farmacologica per il Disturbo Bipolare

La Commissione europea ha approvato la Richiesta di autorizzazione alla commercializzazione per Sycrest (asenapina) antipsicotico atipico di Msd in compresse sublinguali per il trattamento di episodi maniacali da moderati a gravi associati al disturbo bipolare di tipo 1 in pazienti adulti. La decisione basata sulle raccomandazioni dell'Agenzia europea per i medicinali (Emea) e del Comitato per i farmaci ad uso umano (Chmp) si applica a tutti i 27 Stati membri. I dati di efficacia provengono da un programma di sperimentazione clinica che comprendeva quasi 1.300 pazienti affetti dal disturbo e sono stati circa 4.500 i soggetti che, nelle varie fasi di sviluppo, hanno contribuito ai dati su sicurezza e la tollerabilità. Inoltre uno studio clinico placebo controllato della durata di 12 settimane, su 326 pazienti con episodi misti o maniacali del disturbo bipolare di tipo 1, ha evidenziato l'efficacia di asenapina in aggiunta a litio o valproato. La terapia di combinazione, rispetto alla monoterapia, ha portato a una diminuzione più elevata dei sintomi maniacali. «Il disturbo bipolare di tipo 1 è difficile da gestire e molto spesso i pazienti interrompono la terapia per una serie di motivi», ha affermato Eduard Vieta, professore di psichiatria all'università di Barcellona, Spagna, e direttore del Programma per i disturbi bipolari della Clinica ospedaliera di Barcellona. «Disporre di molteplici opzioni terapeutiche è di vitale importanza per i nostri pazienti e l'asenapina rappresenta una nuova opzione per questa grave malattia». 

 

Fonte:http://www.aipsimed.org/articolo/nuova-opzione-il-disturbo-bipolare

 

                                                                                                  

                                                        11 Febbraio 2017