Definizione

  • Il termine ”depressione” appartiene al lessico geografico, con il senso di abbassamento prodotto da una pressione esercitata dall’alto verso il basso e a quello meteorologico: si parla di depressione barometrica, atmosferica o ciclonica.

 

  • Estendendo la metafora al mare, siamo in una fase di bassa marea: ritiro dell’acqua = cedimento della persona; mare profondo = interiorità con profondo

Forse non è indispensabile dilungarsi ora sulla fase depressiva, ma potrebbe ugualmente essere utile qualche nota per meglio caratterizzarne i sintomi per evitare che, come spesso accade, qualcuno possa confonderla con la "tristezza".
La depressione è una condizion patologica. La persona che ne soffre si sente frequentemente demotivata, pessimista e con scarsa stima di sé, avverte dolori e disturbi vaghi e sfumati, si sente colpevole e inadeguata. Può anche avere idee di morte e pensare al suicidio.
A volte sono presenti anche deliri ed allucinazioni: una persona può essere convinta di essere responsabile e colpevole di cose non commesse, credere nella imminente fine del mondo o che la propria famiglia sia in condizioni di rovina.
I deliri sono false convinzioni circa qualcuno o qualcosa. Una persona con un delirio di grandezza può credere di essere in grado di volare, per esempio, o di essere uno speciale emissario di Dio.
Le allucinazioni sono false percezioni in assenza di oggetto. Possono essere uditive (voci, le più frequenti), visive, olfattive, gustative o tattili.

Segni e sintomi della depressione comprendono periodi caratterizzati da:

  •  Umore depresso o ansioso persistente
  • Sentimenti di inutilità o di pessimismo

 

Riferimento bibliografico :

d'Ambrosio, A. (2006)
Introduzione alla diagnosi dei disturbi bipolari
SRM Psicologia Rivista (www.psyreview.org).
Roma, 31 ottobre 2006.

Depressione e Disturbo Bipolare allo specchio

Il rapporto delle persone con le proprie funzioni mentali non è sempre lo stesso. Alcune persone che soffrono di problemi psichici li riferiscono con buona corrispondenza, altri disturbi invece si riconoscono dai comportamenti, mentre la "presentazione" che le persone ne fanno è parziale e a volte distorta. I nostri cervelli vedono in maniera diversa l'essere ansiosi, l'essere eccitati o l'essere depressi, perché gli occhi con cui ci vediamo nei nostri pensieri e comportamenti non possono comunque vedere sé stessi che guardano.

Si può dire che in generale i sintomi che sono riferiti più spesso sono quelli ansiosi o neurovegetativi. I sintomi più “gettonati” sono l’ansia, la preoccupazione, l’insonnia, i problemi corporei di vario tipo (dai dolori ai disturbi digestivi). Una persona che ha soltanto una condizione di depressione “pura” (cioè un rallentamento generale delle funzioni mentali e un abbassamento dell’umore) ha una probabilità bassa di rivolgersi al medico, e di farlo appena si sente male. Invece, se ci sono anche sintomi di ordine ansioso o insonnia, la probabilità aumenta. Sembrerebbe paradossale che un depresso non si lamenti della propria depressione, eppure chi vive la depressione “tipica” la vive come una condizione abnorme, ma con un suo “senso”, come se non avesse senso provare a cambiare le cose. La mancanza di speranza, il pessimismo sono neutralizzate dalla passività, dalla tendenza a rifiutare o non cogliere le occasioni, la sfiducia generalizzata e a volte dalle idee di colpa, inadeguatezza e rovina. Insomma, il depresso classico non si “vede” depresso ma si vede soltanto disgraziato, in una maniera che gli sembra sensata, meritata o comunque impossibile da cambiare. Ciò che spesso “muove” il depresso nella sua ricerca di aiuto è la parte ansiosa, e non spera di poter star meglio oltre l’eliminazione dell’ansia.
Esiste una forma diversa di depressione, detta “atipica”, in cui invece la tendenza a chiedere aiuto è maggiore, perché di solito non vi è inibizione delle funzioni mentali, ma flessione dell’umore “egodistonica”: siamo ancora in presenza di quella funzione mentale che ci fa sentire la mancanza di una gratificazione che sarebbe possibile, ma sembra lontana e difficile. I depressi atipici si vedono depressi, si denunciano depressi, anche se lo sono per pochi giorni o per poche ore non tollerano questa condizione. I depressi atipici spesso, anche se fuori dall’episodio depressivo vero e proprio, tendono a chiamare “depressione” anche soltanto la presenza di sentimenti depressivi transitori, come tristezza, delusione, demoralizzazione per qualche evento negativo. I depressi atipici possono temere la ricaduta per un’oscillazione d’umore anche breve. I depressi “tipici” invece spesso di fronte ad una diagnosi di depressione piena e duratura non concordano sul fatto che l’umore sia basso, ma vedono la loro come una condizione comprensibile rispetto ad una realtà di rovina e di disperazione.

Quando la depressione è di tipo bipolare le cose si complicano. Le persone con disturbo bipolare, specialmente se in forma attenuata, tendono a considerare al massimo il disturbo in termini di depressione bipolare. Di solito però si presentano come “depressi”, “depressi cronici”, cioè non vedono e non ritengono di riferire la parte eccitatoria del loro disturbo. L’eccitabilità è riferita come “ansia” quando l’umore è basso, mentre quando l’umore è alto non è riferita poiché identificata con una condizione normale, cioè desiderabile e gratificante, o comunque di migliore spinta vitale. La diagnosi di disturbo bipolare non è assolutamente tra quelle “gradite” ai pazienti, perché introduce una visione opposta a quella dettata dalla consapevolezza del disturbo, e cioè imperniata sull’eccitamento anziché sulla depressione. A questo contribuisce anche l’equivoco tra eccitamento ed euforia: un disturbo bipolare può anche essere composto da fasi depressive e fasi agitate, in cui l’umore è sempre depresso, ma il grado di attivazione motoria, ideativa e l’insofferenza oscillano tra l’inibizione e l’eccitazione. E’ in questa instabilità, e i pensieri e le scelte che si alternano tra le fasi, che si realizza il concetto di bipolarismo. Per questo, il paziente non dovrebbe ragionare in termini di fasi “su” o “giù” prese isolatamente, ma dovrebbe concepire il disturbo bipolare come una cosa fondamentalmente diversa dalla malattia depressiva, che si riconosce dai danni che le oscillazioni tra inibizione e eccitamento producono sulla personalità, sul rapporto con il mondo e con i propri obiettivi di vita.
Uno dei punti morti della comunicazione tra medico e paziente nel disturbo bipolare è che il paziente si sente come “accusato” di avere fasi eccitatorie, perché non vi vede niente di patologico, o comunque ne vede soltanto i sintomi depressivi, mentre quelli eccitatori rappresentano la parte soggettivamente normale, e quindi non da mettere al centro dell’attenzione. Pertanto il paziente può non comprendere perché l’attenzione del medico sia orientata verso la parte eccitatoria, specialmente se non è una eccitazione euforica e eclatante, e non verso la depressione.

I soggetti con disturbo bipolare hanno spesso le cosiddette “comorbidità” che è come dire che una stessa malattia può colpire diversi organi o parti dello stesso organo. Una parte centrale c’è sempre, altre a seconda dei casi: così c’è chi ha il disturbo bipolare e il panico, le ossessioni, la fobia sociale. Queste persone si presentano solitamente per il disturbo d’ansia, e secondariamente riferiscono elementi che riconducono alla diagnosi di fondo. La comparsa o l’aggravarsi dei sintomi ansiosi sono considerati in parte dei casi un “equivalente depressivo”, cioè un indice di abbassamento dei livelli di eccitamento umorale, che si traduce non tanto in depressione classica ma in una condizione di fobia, ritiro sociale, insicurezza, dubbio, paure varie riconducibili alla struttura di una ossessione, di un’ansia sociale, o di un panico.
Depressione come concetto di disturbo va inteso non tanto come tristezza, malinconia, ma come de-tensione, calo di tensione in un sistema che regola varie funzioni, dall’umore propriamente detto al sonno, alla rapidità di pensiero, alla ripetitività dei pensieri di controllo, alla suscettibilità alle reazioni di allarme.
Infine, come un po’ per tutti i disturbi, la visione del sistema uomo-ambiente privilegia per una questione di invisibilità del cervello a se stesso, l’ambiente. In altre parole, si tende a attribuire all’esterno il malessere, piuttosto che non ad una propria vulnerabilità interna.

In conclusione, alcune auto-diagnosi sono in teoria più attendibili, anche se è buona norma evitarle. I pazienti che hanno il panico hanno buona probabilità, per intenderci di riconoscersi in un elenco di sintomi del panico. Non è il caso di chi soffre di disturbi dell’umore, che riconoscerà la sua situazione o in una serie di elementi esterni come causa del proprio malessere, o in fantomatici “stress” che si chiamano in causa a posteriori, oppure ad una vulnerabilità depressiva. Approssimativamente, i pazienti che si riconoscono nella depressione così come è scritta nei manuali hanno buona probabilità di avere una forma di depressione bipolare, più o meno attenuata. I depressi “puri” invece sono di norma identificati meglio, e prima, dai familiari.

I comportamenti rispetto alle terapie riflettono questo vizio. Lo sterotipo vuole che i depressi non vedano l’utilità dei farmaci antidepressivi, che ritengono un artifizio che tanto “non cambia niente” e che potrà al limite sedarli. La scelta spontanea dei pazienti depressi è infatti verso gli ansiolitici, paradossalmente depressogeni. Questa scelta tende a limitare la parte ansiosa, che come dicevano meglio visibile come “corpo estraneo”.
I soggetti bipolari, se gestiscono autonomamente le medicine, o se sono assecondati nei suggerimenti che danno sulla composizione delle cure, tendono inevitabilmente a comporre cocktail di antidepressivi e sedativi, cercando di trovare una giusta via di mezzo tra eccitazione ansiosa, e sedazione con troppa inibizione. Questo tipo di cocktail è peggiorativo per una serie di funzioni mentali e per l’andamento del disturbo bipolare: ovviamente, se la sola parte “visibile” alla persona è la depressione antidepressivi e sedativi risultano una scelta sensata, ma dal punto di vista del medico, e della malattia, è forse la peggiore in assoluto.
Di fronte ad una insoddisfacente risposta all’antidepressivo, le persone bipolari tenderanno a pensare che esista un antidepressivo ottimale, e di fronte all’ansia che esista un sedativo ottimale. Il soggetto bipolare si disinteressa di regola della categoria “stabilizzatori dell’umore”, poiché questa non si sposta alla sua visione del disturbo, mentre arriva paradossalmente a considerare l’uso dei neurolettici, che hanno potere depressogeno ma anche sedativo, e quindi sono strumenti “riconoscibili” per una funzione immediata. “Tirar su” l’umore e “tirar giù” l’ansia, di volta in volta al bisogno e a seconda della situazione, è la tattica della persona con disturbo bipolare, ovvero l’opposto di quel che il medico tenderebbe a fare, cioè trovare un equilibrio generale a livello preventivo, mantenendo oscillazioni purché limitate.
In generale, il soggetto bipolare ritiene che la via d’uscita dal suo disturbo coincida con la via d’uscita dalla depressione, e quindi con il “tirar su” l’umore. L’eccitamento, euforico o non euforico che sia, è visto come un modo naturale di uscirne, anche se con i suoi rischi, e come tale non suscita quel timore che dovrebbe. Il soggetto bipolare risente molto di più dei postumi delle fasi eccitatorie, eppure è esclusivamente preoccupato dell’attualità delle sue fasi depressive, e del rischio che ritornino. Addirittura, spesso richiederebbe una condizione di stabile eccitamento come “garanzia” continua di non poter ricadere in depressione. Egli in definitiva ritiene che garanzia della lontananza della depressione sia uno stato di eccitamento moderato, mentre la realtà dice l’opposto. Il modo attualmente più sicuro e affidabile per depotenziare un disturbo bipolare è limitarne le fasi eccitatorie in modo da prevenire la tendenza alle oscillazioni depressive, il che può verificarsi dopo un primo periodo in cui l’umore rimane ad un livello non soddisfacente.
E’ bene che il paziente sappia quindi che il medico lo cura per un disturbo con cui non può avere un rapporto “allo specchio”, perché lo specchio restituisce un’immagine parziale e distorta. La critica comune che il medico non può curare al meglio perché “dovrebbe averla provata su di sé” la malattia è quindi non soltanto ozioso, ma anche errato in psichiatria. Il medico ha il vantaggio di un punto di vista più vicino al funzionamento della malattia, di cui i sintomi sono un elemento e non la descrizione tecnica.

 

Articolo tratto dal sito:

 http://www.psichiatriaedipendenze.it/ del Dr. Matteo Pacini (articoli su depressione e su disturbo bipolare)

Che cos'è la depressione

Tu che leggi, possibilmente ti chiederai il perchè dell'aver inserito questo lungo  articolo. In talune parti è ripetitivo e poi è chiaramente un quadro sulla depressione stilato da Psicoterapeuti.
Io credo che: più sappiamo, più conosciamo e più possiamo essere d'aiuto a noi stessi.

 

 

L'altro elemento fondamentale della depressione è la diminuzione del sentimento del proprio valore, fino a diventare, nella depressione melanconica, vera e dichiarata autosvalutazione. Nella forma più grave la persona può anche arrivare alla convizione di una fine e di una punizione imminente.
L'intensità del sentimento di autosvalutazione è uno dei parametri principali per capire quanto è grave la depressione.Più questo sentimento si aggrava, più la persona si ritiene colpevole di quanto gli sta succedendo e pensa di non essere in grado di uscirne. Il sentimento di autosvalutazione può arrivare fino alla convinzione di essere il più infimo e indegno della terra. Così, l'autosvalutazione determina un umore ancora più nero, e l'umore abbatte ulteriormente l'animo della persona che non riesce più a fare ciò che per gli altri è elementare oltre che vitale.

 

Cos'è la depressione?

La funzione della depressione

 

Comunemente si considera uno stato depressivo come una reazione preoccupante.
Pensiamo, invece, che spesso si tratti del contrario: la società contemporanea esige l'efficienza costante del corpo e della mente; le persone sono spinte, dai condizionamenti di una società costruita sulla macchina, a non avere mai cedimenti e ad aderire ad un buon umore apparente.
Se questa è la società della depressione, perché le statistiche lo confermano, è anche vero che è una società che non attribuisce valore positivo ai momenti di crisi e di sconforto. Viene dimenticato troppo facilmente che un momento di sconforto può essere l'occasione per pensare alla propria vita in modo critico, molto più che un "normale" e apparente "stare su di giri". Nella nostra esperienza 

professionale constatiamo che per una persona può essere altrettanto grave trascurare una depressione quanto cercare di essere sempre in uno stile di vita in cui prevale l'apparire sempre di buon umore. Crediamo che cancellare il dolore con rimedi artificiali, negarne la realtà con la volontà, nasconderne la presenza sforzandosi di apparire efficienti, sia la maniera migliore di impedirne il superamento.
Esiste una forma di depressione che si produce in seguito ad eventi ben definiti della vita, presentandosi come reazione ad una sofferenza prodotta da una perdita, da una difficoltà o da un fallimento. Sotto questa luce, la depressione può essere una reazione di fronte alla perdita o ad una difficoltà o ad un evento che produce un senso di fallimento. Si tratta quindi della reazione di fronte a qualcosa di importante, che è cambiato. La persona soffre perché ciò che è importante è stato in qualche modo perso; ad es., quando si ritorna da un viaggio in cui ci si è trovati bene, si possono avere delle depressioni transitorie. In questo come in molti casi della vita quotidiana, non si tratta di malattia, ma di una reazione di fronte ad una perdita. La reazione depressiva alla perdita, ha una funzione fondamentale: quella di essere l'avvio del processo di separazione. Si può dire che in questi casi, la depressione, costituisce un processo necessario al benessere mentale della persona. Sotto questa luce, la depressione è assolutamente necessaria per superare il momento di crisi. In questi casi, la depressione è l'effetto del riconoscere che ciò che si è perso aveva, contemporaneamente, caratteristiche buone e caratteristiche negative.
La depressione è funzionale alla salute psichica quando la persona riesce a valutare in modo realistico ciò che è stato perso. Consideriamo la fine di una relazione amorosa: se la persona continua a pensare che tutta la colpa è stata del partner, difficilmente riuscirà ad avviare il processo necessario di comprensione e valutazione che gli permette di superare l'evento doloroso della perdita affettiva; se invece la persona accetta di riconoscere i lati positivi del partner di conseguenza dovrà vedere i lati negativi propri; dovrà perciò accettare nel proprio Sé dei lati "cattivi", che hanno compromesso il rapporto. Quando questo riconoscimento avviene, la persona vede il buono e il cattivo in Sé e nell'altro. A questa constatazione profondamente realistica, non può che seguire una depressione (che non è patologica) e che è l'effetto di una profonda presa di coscienza.In questi casi la persona dovrà riuscire a vedere da entrambe le parti il buono e il cattivo, avviando così il processo di separazione; la depressione che emerge in questi casi è dunque funzionale alla consapevolezza faticosamente ma utilmente raggiunta.
La depressione come rottura del sentimento del proprio valore

L'altro elemento fondamentale della depressione è la diminuzione del sentimento del proprio valore, fino a diventare, nella depressione melanconica, vera e dichiarata autosvalutazione.
Nella forma più grave la persona può anche arrivare alla convizione di una fine e di una punizione imminente. L'intensità del sentimento di autosvalutazione è uno dei parametri principali per capire quanto è grave la depressione.Più questo sentimento si aggrava, più la persona si ritiene colpevole di quanto gli sta succedendo e pensa di non essere in grado di uscirne.Il sentimento di autosvalutazione può arrivare fino alla convinzione di essere il più infimo e indegno della terra. Così, l'autosvalutazione determina un umore ancora più nero, e l'umore abbatte ulteriormente l'animo della persona che non riesce più a fare ciò che per gli altri è elementare oltre che vitale.

Cos'è la depressione ?
Le forme di depressione grave e le forme maniaco-depressive
Depressione grave o melanconia

Esistono forme di depressione che producono una perdita totale del sentimento della vita; queste forme si chiamano comunemente melanconia e consistono in un umore depresso accompagnato da un grave svilimento del senso del proprio valore. 
 La persona è costantemente attraversata da una angoscia senza limiti, indefinibile quanto alle sue cause e ai suoi effetti, aggravata da autoaccuse il cui contenuto è palesemente esagerato.  Un'altra forma molto grave è la malattia denominata disturbo bi-polare, o psicosi maniaco-depressiva. Questa malattia è caratterizzata dall'alternarsi da due fasi di umore contrapposto: una fase di umore depressivo si alterna con una di umore esageratamente euforico.
Sia la melanconia che la forma maniaco-depressiva sono condizioni particolarmente gravi che richiedono un intervento molto specifico e tempestivo. Sono condizioni particolarmente debilitanti, paragonabili a forme di malattia organica, e richiedono la massima attenzione e in primo luogo un intervento inteso a modificare il tono dell'umore. Esse non vanno cioè confuse con gli altri stati depressivi, caratterizzati da uno stato di tristezza e di tedio, poiché in questi ultimi la capacità di lavorare e di svolgere le normali attività non è compromessa, anche se può essere resa difficoltosa dalla sofferenza provata; in queste forme meno gravi domina inoltre un senso di insoddisfazione che non ha nulla a che fare con la perdita del sentimento della vita o con l'esagerato, irrequieto ed angoscioso iperattivismo della condizione maniacale.Le autoaccuse sono prodotte da un senso di responsabilità eccessivo ed immaginario che però schiaccia la vita morale della persona come un reale misfatto. Il melanconico ha innanzitutto un atteggiamento caratterizzato dalla grandezza e della immensità; quando si ritiene responsabile di qualcosa, egli in realtà pensa di essere colpevole e arriva a considerarsi un criminale.  Nonostante non abbia nulla da rimproverarsi, o addirittura nonostante una vita morale irreprensibile e rigorosa, la persona melanconica pensa di avere compiuto dei misfatti di cui ritiene possa essere accusata e per i quali può considerarsi un grande criminale. L'episodio a cui si riferisce il melanconico, nelle sue autoaccuse, può essere anche reale, anche se non lo è sempre; ma in ogni caso il melanconico assume su di sé una responsabilità del tutto sproporzionata a ciò che è accaduto. L'evento in cui si è trovato coinvolto è sempre caratterizzato da una perdita o da una separazione da qualcuno o da qualcosa; questo episodio può essere, ad esempio, il ricovero di un proprio genitore in un ospedale per anziani, di cui la persona si sente "colpevole"; oppure una malattia di un genitore o di un partner, che fa precipitare la persona in una angoscia, che si trasforma presto in autoaccusa melanconica. La depressione può alternarsi ad uno stato di esagerata euforia, detta condizione maniacale.Nella forma maniaco-depressiva troviamo due condizioni emotivamente molto diverse, ma che hanno entrambe sullo sfondo l'angoscia. 
Nella fase depressiva, infatti, l'umore è così negativo e così profondamente triste da coincidere con uno stato angoscioso vero e proprio: è una angoscia pervasa dal senso del nulla e della morte ; la persona vede in modo cupo sé stessa e il mondo circostante e si sente senza via di scampo in una condizione di disperazione. 
Nella fase detta maniacale, si instaura invece una euforia associata con la necessità imprescindibile di agire e di fare: ogni attività che già appartiene alla sfera di interessi della persona, diviene importantissima, fondamentale, ma per breve tempo. L'euforia diviene con il tempo talmente inquieta ed esagitata da essere paragonabile all'angoscia vera e propria. Via via che la condizione di euforia aumenta, la persona la persona fa sempre più fatica a portare a termine le attività iniziate; cresce l'inquietudine; ogni attività occupa ora un tempo brevissimo e questo tempo diviene sempre più breve: la persona passa da una cosa all'altra nel giro di pochissimo tempo e l'euforia a poco a poco è diventata vera e propria disperazione. In questa fase la persona è in genere potentemente reattivo, è espansivo, ironico, si lascia trascinare nelle discussioni e si appassiona. Ripensando a questa condizione la persona può avere un certo rimpianto, come se si trattasse di un periodo di vita intensamente vissuta.  Perché una condizione venga definita maniaco-depressiva non basta però questa alternanza dell'umore; è necessario anche che nella condizione maniacale la persona compia atti palesemente caratterizzati dall'impossibilità di mettere freni alla propria volontà: spese folli e acquisti esagerati, accompagnati da sentimento di una propria grandezza e della grandezza di ciò a cui ci si appassiona. Non basta, cioè, per parlare di fase maniacale, il fatto che la persona manifesti forme anche accese di reattività e di aggressività.

Cos'è la depressione? Una corretta valutazione del tipo di depressione è necessaria e utile.
La depressione è una condizione che ha differenti cause e diverse forme di gravità. Ciò che costituisce un punto di difficoltà nella valutazione e nella comprensione delle differenti forme di depressione è anche il fatto che la depressione ha come sintomo principale una modificazione dell'umore, il quale può manifestarsi sempre nello stesso modo, cioè essere riconosciuto da diverse persone che ne soffrono come la medesima tristezza, anche se in realtà le personalità in cui si è prodotto differiscono tra loro. E' necessario e utile una corretta valutazione della depressione in quanto tale e anche della personalità in cui si radica e di cui è espressione; anche chi ne soffre può utilmente cercare di acquisire maggiore consapevolezza della propria condizione di sofferenza, delle sue cause attraverso gli strumenti culturali e scientifici che esistono. Tuttavia bisogna affermare con decisione che è compito specifico dell'operatore, medico o psicologo discriminare con attenzione tra le diverse forme di depressione. Questo è un compito della più grande importanza e nessuna parola è sprecata se serve a mettere in guardia tra le facili similitudini tra le diverse forme di depressione. Come ognuno constata facilmente, infatti, si apprendono frequentemente tragiche notizie di cronaca in cui una persona inspiegabilmente si uccide o uccide i famigliari; e in questi casi qualche volta emerge che la persona era affetta da depressione ed in cura presso un servizio psichiatrico. In questi casi la depressione, forse, non è stata adeguatamente valutata e non si è considerato attentamente che tipo di personalità ci fosse alla sua base. Quando si presenta come condizione transitoria e connessa ad una perdita, ad una separazione o ad una delusione reale viene chiamata comunemente lutto. Il lutto è una condizione di depressione connessa ad una perdita affettiva oppure a qualcosa di valore ideale. Il lutto è una condizione che si verifica quando abbiamo dato un grande valore affettivo a qualcuno o a qualcosa e, di conseguenza, soffriamo per la perdita che si è prodotta. Il lutto si configura così come il primo passo in un processo di separazione, che utilizza prevalentemente le risorse della sofferenza e che, quando svanisce, fa sentire la persona come rinata. Nel lutto quindi la differenza tra Sé e ciò che è perduto si mantiene e la persona può lentamente ritrovare nel proprio Sé le sue energie vitali. All'opposto la depressione grave, detta anche tradizionalmente malinconia, che può essere anche caratterizzata dall'alternanza con stati di eccitazione euforica e progressivamente angosciosa (stati maniacali), è uno stato non transitorio e che non deve essere considerata una reazione "fisiologica" del mentale; la malinconia è segno infatti di una sofferenza personale molto forte e va considerata come una malattia, essa cioè non va sottovalutata in nessun caso. Nella melanconia la persona soffre perché il proprio Sé non riesce ad accettare qualcosa che avviene nella realtà; questa non accettazione è così radicale che la persona sprofonda in una non-vita.In alcuni casi, la persona ammalata di depressione vive ed ha vissuto da sempre un contrasto interno tra i propri desideri ed inclinazioni e la possibilità di metterli in atto.

Curare le cause

 

La depressione è in alcuni casi una reazione perfettamente adeguata, transitoria e superabile, a certi eventi dolorosi della vita; in altri casi è legata ad una difficoltà che la vita di oggi, con il suo carico di conflitti e tensioni, pone ad ogni persona.
La depressione è, in altri casi, la manifestazione esterna di un malessere più profondo. La cura deve tenere conto del fatto che la depressione è una espressione di un vissuto, è una forma di comunicazione, è un messaggio.
Nella depressione, infatti, c'è qualcosa che riguarda non il proprio cervello, ma la propria vita. Si tratta di fare sì che la persona veda la propria vita come la propria storia, cioè qualcosa di particolare a sé stesso, qualcosa che ha un senso e un valore specifico.Il farmaco allora può tamponare una situazione di difficoltà; può intervenire creando le premesse ad un lavoro psicoterapeutico; può rafforzare la fiducia del soggetto in sé stesso, ma la causa può essere affrontata solo utilizzando il proprio pensiero, solo iniziando un viaggio di riflessione sulla propria vita.
Ciò che va affrontato nella cura è il modo con cui la persona depressa affronta la propria vita. La persona depressa affronta le scelte, le decisioni e le situazioni, senza tenere conto dei propri veri desideri; la persona depressa sottovaluta il valore dei propri desideri.
Nella cura allora sarà necessario riconsiderare questa modalità di relazione con la vita, in modo da acquistare più sicurezza e autostima.
Può essere utile allora che il depresso incontri qualcuno in una posizione di ascolto, come accade nei gruppi o nelle sedute individuali. L'ascolto può permettere alla persona di imparare a confidare sulla propria capacità di progettare e di scegliere, affrontando anche i rischi insiti nei progetti e nelle scelte.
La persona depressa è in genere "bloccata", inibita nell'esprimere quei sentimenti che sembrano mettere a soqquadro i rapporti personali, poiché si tratta di emozioni vissute come potenzialmente in grado di rompere i rapporti di affetto. Con la terapia può riuscire ad esprimere pensieri e sentimenti (che possono coinvolgere anche i familiari) imparando a non avere paura ad esprimere le proprie emozioni, ad esempio, la rabbia, l'aggressività, e la noia.. La persona depressa può allora imparare a non vedere nulla di terribile nell 'espressione dei propri sentimenti.
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E’ essenziale, per comprendere e curare la depressione distinguere tra varie diverse forme di in cui si manifesta a depressione. Ad ogni forma corrispondono diverse problematiche e quindi diverse forme di cura e di trattamento. Sebbene l’influsso della società si faccia sentire in ogni forma di depressione, è possibile comunque distinguere un tipo ben definito, in cui la causa sociale è quella determinante. Queste forme non richiedono un trattamento perché dipendono essenzialmente dalle caratteristiche della vita quotidiana nella società contemporanea.
Esistono forme di depressione che sono indotte dalla società; sono le caratteristiche della società contemporanea ad incidere profondamente sull’equilibrio psicologico. Ad esempio, i continui confronti con le immagini proposte dai mass-media, la forte competizione presente nella vita quotidiana e la necessità che spinge le persone a dovere ricoprire diversi ruoli per mantenere un livello ottimale di autostima, costituiscono situazioni in cui si può manifestare la depressione come effetto di una vita che è divenuta quasi come un lavoro forzato. In questi casi, il vero malato è, in un certo senso, la società, non la persona. In questi casi, è importante rendersi conto che la persona ha dei suoi ritmi di lavoro e di impegno ottimali, che non possono essere forzati; e in questi casi, la depressione si presenta come la ribellione inconsapevole, affettiva e non razionale, nei confronti di un regime di vita insoddisfacente, a cui si è aderito in modo meccanico.
Esiste una depressione che invece manifesta un malessere profondo, dipendente da problemi interni alla persona e che, in quanto tale, non va sottovalutata. In questi casi, la depressione sorge come l’effetto di una incapacità ad orientare la vita in funzione delle proprie passioni; le persone che si riconoscono in questo tipo di depressione, riconoscono facilmente di avere spesso fatto delle scelte condizionate dal giudizio e dalla volontà degli altri, cioè di avere agito contro i propri veri desideri. Talvolta addirittura, può emergere chiaramente che la persona, in un dato momento della propria vita, ha abbandonato inspiegabilmente una propria passione, per lasciarsi scivolare entro una dimensione di routine Ripensandoci, non di rado la persona può riconoscere che ha sempre avuto un velo di tristezza, di cui la causa è sempre rimasta oscura. In questi casi, la causa della depressione c’è, è interna alla persona, ma sfugge alla sua coscienza. La depressione, cioè, dipende in questi casi da cause che sono presenti ma che sfuggono alla coscienza e quindi alla capacità di riflessione e di critica che è propria della coscienza.Queste cause consistono in giudizi su di sé che in genere contengono pesanti auto-accuse. Finché il soggetto si auto-accusa non può certo affrontare la vita nel migliore dei modi e quindi è necessario che egli, divenendo consapevole delle auto-accuse le risolva con la riflessione e con la propria capacità critica. La cura allora, individuale o di gruppo, consiste nell’allargare la propria capacità di riflessione e la propria consapevolezza. Si tratta cioè di iniziare a rivolgere l’attenzione ad aspetti della propria personalità e della propria vita a cui fino a quel momento non si aveva prestato attenzione. In questo modo si arricchisce la propria coscienza. Da una parte infatti la coscienza stessa, come capacità di prestare attenzione a sé stessi, diventa più sensibile, più elastica e più ampia; dall’altro lato diventa meno giudicante rispetto alla persona. In questo modo processo ognuno può imparare a vedersi come è, a conoscersi, a comprendersi con più rispetto e con più stima. E’ il proprio Sé che diventa l’unità di misura della propria vita, non gli idealisociali.Allargare la propria capacità di riflessione significa fare spazio dentro di sé ai vissuti che non si vogliono provare. Significa anche ammettere quei pensieri e quelle fantasie che sono state sempre rifiutate. Significa cioè oltrepassare il piano del rifiuto e cercare una conoscenza di sé autentica. Allargare la propria capacità di riflessione è quindi acquisire un nuovo modo di pensare su di sé e sul proprio futuro, acquistando una capacità decisione e progettuale che non si avevano fino a quel momento. Allargare la propria capacità di riflessione significa anche scoprire che nei propri pensieri non c’è nulla di temibile; l’unico problema di un pensiero è quello di non poterne parlare e di non poterli pensare.In questo modo si impara come si è veramente; si impara che in alcune situazioni si soffre e non serve a nulla fingere che non sia così. In questo modo si impara a tenere conto della propria sofferenza e si impara a mettere un limite al proprio masochismo. Con una consapevolezza più ampia, infatti, si ristabilisce anche, immediatamente, il senso del proprio valore, assieme alla capacità di fare valere i propri diritti nelle situazioni relazionali, di lavoro o affettive, che riempiono la vita di tutti i giorni.
Importanza dell’infanzia

Nel processo di autoriflessione ripercorrere la propria storia personale, cioè ripensare ai legami affettivi della propria vita, a partire da quelli dell’infanzia, cioè ai legami con la propria famiglia di origine.Può sembrare strano che una persona adulta debba ripensare alla propria infanzia; in realtà effettivamente non si riduce tutto a questo, ma senza dubbio l’infanzia è il momento che più incide sugli atteggiamenti che si assumerà nella propria vita.Per una persona ripensare ad una parte della propria vita così lontana può sembrare privo di utilità; spesso questo sentimento di inutilità è dovuta all’idea che la propria infanzia sia stata del tutto aderente ad uno standard di normalità e che quindi non debba richiedere una riflessione. E questo è in parte vero, perché ciò da cui la persona depressa può trarre giovamento non è certamente il sentirsi giudicata sulla propria vita; né si tratta di portare persona a scoprire chissà quali "cadaveri nell’armadio". In realtà questo ripensare al passato, costituisce un modo per appropriarsi della propria vita, per fare uscire dall’anonimato i fatti che hanno inciso sulla propria vita, anche se possono sembrare simili ai fatti della vita di tutti.In genere la depressione è, infatti, radicata nell’infanzia, in una atmosfera di sfiducia verso di sé. La persona depressa è stata un bambino che non ha creduto nella forza dei desideri; è stato l’ambiente familiare che non lo ha sostenuto e incoraggiato. Si tratta di bambini che hanno vissuto in una sorta di deserto di passioni, abbandonati quando studiavano o quando esercitavano qualche altra attività in cui l’apprezzamento dei genitori è fondamentale. In questi casi, dunque, la cura deve toccare l’infanzia e cercare di sollevare un velo che nasconde tutto quel mondo di passioni e di vissuti negati fino a quel momento. E’ per questa ragione che la persona deve attraversare, come in un viaggio, i sentimenti che lo legano e lo hanno legato, nella sua vita, alle figure importanti della propria famiglia, in primo luogo il padre e la madre.

 Ampliare la coscienza

 Ciò che chiamiamo depressione è uno stato d'animo che ha diverse cause e manifestazioni e che quindi deve essere affrontato in modi diversi. E' importante capire ogni forma nella sua specificità per affrontarla nel modo migliore, nel modo più realistico possibile, con la consapevolezza di quello che non c'è bisogno di fare oppure di quello che si potrà fare o che non si potrà fare. In alcuni casi la depressione è uno stato transitorio, è un episodio circoscritto, delimitato nel tempo: ad esempio, siamo depressi perché siamo stati abbandonati, oppure perché abbiamo vissuto un fallimento lavorativo o sentimentale. Nessuno pensa che queste forme di depressione sono delle malattie, perché esse sono perfettamente adeguate alla realtà che la persona sta vivendo. In questi casi verrebbe anzi da dire: è giusto essere depressi quando si ha perso un amore oppure quando non si è riusciti in una impresa a cui si teneva. Anzi, in questi casi se una persona non è depressa abbiamo qualche ragione di pensare che forse non provava un sentimento amoroso verso il partner perso, né dava una vera importanza all'impresa che non è andata in porto. Quando poi, la persona perduta è morta, allora subentra una reazione depressiva che è più giustamente e comunemente nota come lutto. Il lutto è questo: la reazione di fronte a qualcosa che abbiamo amato, quindi un sentimento che deriva dal senso di perdita connesso a una persona che aveva per noi grande valore. Si può provare lutto quando ciò che abbiamo perso è per noi di grande valore. Ugualmente, si può soffrire di essere stati lasciati, di non avere superato una prova scolastica, lavorativa o sportiva, perché tenevamo molto ad essa; la tristezza in questi casi è proporzionale al valore che davamo alla cosa che non siamo riusciti ad ottenere. In questi casi, la tristezza è una reazione adeguata, rispetto al nostro investimento emotivo; come nel caso dell'investimento finanziario, ad un grande investimento segue una grande sofferenza se l'affare non da' i frutti sperati. Altre forme di depressione, che possono anche mettere in pericolo la vita o che intaccano profondamente la vita quotidiana ( con una intensità e una durata giustamente preoccupanti) appaiono, a prima vista, meno giustificate delle forme che abbiamo appena trattato. In alcuni di questi casi la persona può dire che un certo episodio ha innescato la depressione; ma riconosce facilmente che c'è qualcosa di eccessivo nella sua reazione e soprattutto che c'è qualcosa di non del tutto razionale. Si può arrivare a constatare che la depressione, o le alterazioni improvvise dell'umore, hanno fatto parte da sempre della propria esistenza. Si può così osservare che queste forme di depressione sono in sostanza inspiegabili o difficilmente spiegabili. Si può dire che quando la depressione diventa ancora più grave, quando appare nelle forme in cui si alterna allo stato maniacale il grave problema di umore, è ancora più inspiegabile; in certi casi l'episodio scatenante, che può essere ricordato, non è chiaramente connesso con il sentimento che ha prodotto. Tuttavia anche in questi casi la depressione è una reazione perfettamente adeguata: non è adeguata al mondo esterno, ma lo è rispetto al mondo interno della persona. Questo è un aspetto su cui è necessario richiamare l'attenzione. La depressione, anche in questi casi, non "piove dal cielo"; cade certamente in modo brusco e tremendo nella vita della persona, ma con una causa. E' vero che in questi casi lo stato che si produce è fonte di grande sofferenza; è vero che è una reazione affettiva che dobbiamo arrivare ad arginare; ma essa ha un significato per la persona. Per queste ragioni, può essere utile alla persona depressa, anche quando soffre di una forma grave di depressione, ampliare la coscienza e consapevolezza dei propri stati emotivi e essere aiutato a esprimere i propri pensieri. Nei casi gravi può rendersi necessario una seria valutazione di tipo anche farmacologico. Ma anche in questi casi la persona può trarre un grande vantaggio dal conoscersi meglio, dal saperne di più su sé stesso; peraltro questo lavoro può affiancare anche un trattamento farmacologico: si è verificato, in numerosi casi, che esso ha una grande efficacia anche sulla terapia farmacologica stessa, poiché rende più pensato e consapevole il rapporto con il farmaco. Ampliare la propria coscienza non consiste soltanto nel riflettere sugli eventi attuali e sulle reazioni emotive attuali, ma anche nel riflettere sulla propria vita e individuare quali imori e angosce hanno maggiormente inciso, accanto a quali valutazioni su di sé e sugli altri. Riflettere sulla propria storia è come completare un libro incompleto, come cioè scrivere i capitoli che sono rimasti in bianco perché la persona provava una senso di Sé negativo e svalorizzato.Quando questo accade anche la persona depressa può trarre grandi benefici, perché può ammettere nei suoi pensieri delle emozioni che fino a quel momento non potevano essere considerate. Quando si arriva a questo si vede che ciò di cui si soffriva era proprio una specie di falsa coscienza. Si constata cioè che moltissimi individui vivono una condizione paradossale: essi chiamano "coscienza" ciò che invece è una "falsa coscienza", condizionata e illusoria, mentre ciò che non era cosciente fino a quel momento, si è rivelato essere il loro vero io. In questo modo si impara come si è veramente fatti; le proprie debolezze o inclinazioni criticabili, assumono una diversa luce e così, non più respinte in modo automatico, divengono anche maggiormente utilizzabili e governabili. Soprattutto, si impara a prendersi il diritto a dire quello che si ha in mente - conquista che può sembrare cosa da poco, ma in realtà è qualcosa di prezioso perché è il primo passo per fare valere nella vita i propri desideri e i propri progetti. Spesso infatti, nella vita adulta la necessità di farsi una posizione, di inserirsi nella società, in un sistema, continuano a costringere l'individuo a reprimersi, a seguire le esigenze collettive, anziché le sue esigenze individuali, così la 'maschera' si consolida, e la scissione fra l'io falso e il Sé autentico si fa sempre più profonda. È per questo che il depresso può vivere, fino ad un certo punto della sua vita, una vita sociale a cui non manca nulla dello standard comune della normalità, mentre in realtà egli già soffre le pene della sua infelicità. E' necessario che la persona sia convinta che la sua vera individualità esiste anche se è inconscia e preme continuamente per manifestarsi, per esprimersi. E' ormai un fatto accertato che esiste nell'essere umano, a fianco di una tendenza all'uniformazione, anche una tendenza a manifestarsi e questa tendenza non viene distrutta, ma può essere solo mascherata. Giunge un momento in cui la pressione del nostro Sé si fa sentire, più o meno fortemente e coscientemente, ed allora ha inizio il malessere, il conflitto, la crisi che prima o poi, porta al superamento della falsa 'coscienza' e al ritrovamento della propria realtà. Questa lotta tra la spinta a realizzarsi nell'autenticità e l'io superficiale, tra spiritualità e adeguamento alla volontà dell'altro, porta a profonde crisi, che possono essere vissute consapevolmente oppure manifestarsi solo come uno stato doloroso.

(Dott.ssa Silvia Cavalli, Dott. Luigi Colombo e Dott. Uberto Zuccardi Merli)
Tratto da: http://www.mybestlife.com/depressione/index.html

 

                                                                                                         25 Novembre 2009